Le banche centrali si trovano a dover gestire numerose sfide: disuguaglianza, cambiamento climatico e gestione del debito, solo per citarne tre. Alla luce di questo, tenere sotto controllo l’inflazione rimarrà ancora l’obiettivo primario? Con l’evolversi delle priorità, riteniamo che l’inflazione sia destinata a muoversi nettamente al rialzo.

Fino a poco fa, le banche centrali avevano un compito semplice: mantenere la stabilità dei prezzi. Oggi sono state coinvolte in settori diversi: ridurre le disuguaglianze, supportare la transizione verde, ecc. Se l’inflazione diverrà solamente uno dei tanti obiettivi, c’è il rischio che venga messo da parte per focalizzarsi su tematiche più pressanti.

Un mandato sempre più ampio

La pandemia di COVID-19 ha già obbligato le banche centrali ad ampliare i loro mandati. Per i governi non sarebbe stato possibile sostenere le loro economie negli ultimi 18 mesi e lasciare che i livelli di indebitamento raggiungessero i massimi storici senza l’aiuto dei programmi straordinari di espansione dei bilanci e di acquisto di obbligazioni delle banche centrali.

Se da un lato le banche centrali dei Paesi sviluppati continuano per la maggior parte a porsi un target di inflazione pari circa al 2%, dai recenti discorsi emerge la possibilità che stiano già iniziando a distogliere l’attenzione da questo obiettivo (Grafico sopra). Pochissimi episodi storici di inflazione elevata hanno preso le mosse da un tentativo esplicito di spingere i prezzi al rialzo. Piuttosto, l’inflazione è salita in maniera indiretta mentre i policymaker perseguivano altri obiettivi. Ci aspettiamo che nei prossimi anni avvenga la stessa cosa. I nuovi imperativi, ad esempio il cambiamento climatico e il populismo, potrebbero spingere la politica verso una direzione che, nel tempo, genererebbe un aumento dell’inflazione. Ma soprattutto, tale aumento sarà considerato un prezzo accettabile da pagare.

Le nuove priorità aprono le porte a un rialzo dell’inflazione

Durante lo scorso anno ci siamo convinti che il mondo stia per entrare in una nuova era inflazionistica. Questo in parte perché il COVID-19 ha spinto ulteriormente il debito governativo oltre il punto di non ritorno, e in parte per la velocità con cui sono stati messi in campo l’attivismo fiscale e il finanziamento semi-monetario. Siamo inoltre colpiti dal consensus che si sta formando intorno all’idea che il livello di indebitamento non sia più così importante. I principali policymaker in USA ed Europa hanno sostenuto enormi pacchetti di stimolo, indipendentemente dai limiti di spesa o dai divieti ai finanziamenti monetari. La politica monetaria e quella fiscale sono sempre più integrate tra loro.

Inflazione: sempre e dovunque una scelta politica

Individuare i cambiamenti secolari in tempo reale è un compito difficile. Agli inizi degli anni Ottanta, molti economisti si chiedevano se avrebbero mai sconfitto l’inflazione. Ma allora, così come oggi, le circostanze evolvevano rapidamente. Gran parte di quello che una volta davamo per scontato è cambiato - dal ritorno dell’attivismo fiscale, alla rottura del tabù sul finanziamento monetario - e i governi stanno affrontando difficoltà enormi, forse anche esistenziali. In quest’ottica è difficile pensare che il regime inflazionistico nel prossimo decennio rimarrà invariato rispetto al decennio scorso. Quando all’inizio degli anni Venti scriveva dell’inflazione galoppante che aveva spazzato via i risparmi in tutta Europa, John Maynard Keynes ci ha avvertiti di non considerare le esperienze recenti immutabili, “parte del tessuto sociale permanente”, né di tralasciare il “monito delle sventure passate”. Negli anni Sessanta Milton Friedman, leader della controrivoluzione monetarista contro la dottrina keynesiana, affermava che “l’inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario.” Ma questo è solo un aspetto. È fondamentale anche il regime politico che consente la creazione di queste condizioni monetarie. Ed è per questo che riteniamo più corretto affermare che l’inflazione è sempre e dovunque una scelta politica. Dopo tutto, non siamo forse convinti che l’inflazione al 4,0% sia un piccolo prezzo da pagare per salvare il pianeta?

Darren Williams è Director—Global Economic Research e Guy Bruten è Chief Economist—Asia-Pacific in AllianceBernstein (AB).

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB e sono soggette a revisione nel corso del tempo.

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