Per la prima volta dall’inizio della pandemia di Covid-19, il profilo della traiettoria economica degli Stati Uniti è diventato più chiaro, permettendoci di individuare con maggiore sicurezza tre fasi che, nel loro insieme, portano dal breve al lungo periodo (cfr. Grafico).

Breve termine (1-5 mesi): crescita molto lenta e inflazione contenuta

È probabile che il coronavirus acceleri durante le festività natalizie, con restrizioni dell’attività che potrebbero frenare la crescita, sebbene si cercherà di evitare una nuova tornata di lockdown nazionali generalizzati. Non prevediamo una contrazione come in Europa, ma i rischi puntano in quella direzione. Come minimo, nei prossimi mesi riteniamo probabili una crescita lenta e un’inflazione contenuta. La frammentata distribuzione di un vaccino (che per alcuni arriverà più in là nel tempo) non permetterà a molti di tornare al lavoro subito.

Politica monetaria accomodante e politica fiscale stagnante. La Fed manterrà una politica monetaria accomodante per il prossimo futuro. Intravediamo una probabilità superiore al 50% che la banca centrale USA attui un ulteriore allentamento nel breve periodo, magari ricalibrando il suo programma di quantitative easing (QE) per mantenere contenuti i tassi a lungo termine. Riteniamo che vi siano buone chance che questo accada nel primo trimestre 2021.

La Fed potrebbe sentirsi costretta ad agire perché è difficile che la politica fiscale faccia la sua parte. Un Congresso diviso avrà probabilmente difficoltà ad approvare l’atteso pacchetto di stimoli fiscali e, se ci riuscirà, il provvedimento rimedierà verosimilmente solo a una parte dei danni economici prodotti in inverno, senza dare impulso alla crescita.

Tassi d’interesse ridotti. In un quadro così poco chiaro, la Fed non permetterà che si verifichi un aumento significativo dei tassi. Prevediamo che i rendimenti dei Treasury USA a 10 anni si manterranno in una forbice dello 0,75-1,25%. I mercati azionari si troveranno a dover mediare, da un lato, tra l’ottimismo sui vaccini e le scarse alternative d’investimento, dall’altro, tra le valutazioni elevate e lo stallo fiscale. Il dollaro tenderà più facilmente a indebolirsi che a rafforzarsi; secondo la maggior parte dei parametri, il biglietto verde risulta ancora leggermente sopravvalutato e il mercato si focalizzerà probabilmente sul nuovo corso, che sarà verosimilmente negativo per il dollaro.

Medio termine (2T 2021 - 4T 2021): accelerazione della crescita, aumento temporaneo dell’inflazione

Supponendo che uno o più vaccini efficaci vengano distribuiti in modo diffuso nel corso del 2021, i settori più penalizzati potranno tornare in attività nel secondo trimestre e beneficiare di una ripresa durante l’estate. Presumibilmente, la gente ricomincerà infatti a viaggiare, a partecipare personalmente a eventi ricreativi e a fare ciò che gli è stato precluso per gran parte del 2020. Non sarà un “liberi tutti”, ma il miglioramento della mobilità dovrebbe dare un forte impulso alla crescita.

L’aumento del tasso di espansione dovrebbe spingere temporaneamente l’inflazione sopra il target della Fed la prossima primavera, visto che i bruschi cali dei prezzi rilevati all’inizio del 2020 usciranno dal calcolo delle variazioni su base annua. L’inflazione di fondo rimarrà probabilmente inferiore al target, ma il dato sul CPI (indice dei prezzi al consumo) complessivo supererà il 2,0% a metà 2021 per poi diminuire nuovamente.

Politica monetaria accomodante, politica fiscale restrittiva. La Fed non si limiterà ad attutire il colpo causato dal Covid-19, per poi tornare alla “normalità”. La banca centrale statunitense nutriva timori per le prospettive economiche già prima della pandemia, e non sarà certo la ripresa provocata dalle riaperture a cambiare la situazione. La Fed potrebbe non attuare un’ulteriore espansione monetaria, dati gli strumenti limitati di cui dispone, ma non punterà neppure a provocare un inasprimento. La banca centrale potrebbe articolare la propria strategia di uscita dal QE, ma lo farà non prima della fine del 2021, e più verosimilmente nel corso del 2022.

L’aumento delle aspettative d’inflazione (obiettivo che la Fed desidera perseguire) potrebbe accelerare i tempi di un’eventuale fine del QE. Riteniamo che la politica fiscale sposterebbe in questo caso l’ago della bilancia, ma se il Congresso non approva uno stimolo degno di questo nome in una congiuntura negativa è difficile che lo faccia in un quadro di rafforzamento. Prevediamo, nel migliore dei casi, un sostegno limitato della politica di bilancio, per cui è molto probabile che l’impulso fiscale il prossimo anno sia in realtà restrittivo.

Tassi d’interesse ridotti e indebolimento del dollaro. Se, come immaginiamo, la crescita registrerà un’accelerazione, la Fed sarà più incline a innalzare i tassi rispetto a uno scenario di debolezza, per cui vediamo un ampliamento dei margini per un aumento dei tassi nel corso del 2021. Tuttavia, date le persistenti apprensioni della banca centrale per le prospettive di lungo termine e il continuo utilizzo del QE per mantenere una politica accomodante, è plausibile che i tassi rimangano in un intervallo dell’1,0-1,5% per gran parte del prossimo anno.

I mercati azionari rimarranno alle prese con le valutazioni elevate e il rafforzamento dell’economia; in questo quadro, le aspettative sulla politica monetaria potrebbero essere determinanti. Se gli investitori iniziassero a temere un inasprimento monetario, si innescherebbe una dinamica negativa. Il dollaro tenderà verosimilmente a deprezzarsi nel medio periodo; per alcuni mesi, ciò assumerà le sembianze di una vera e propria reflazione.

Lungo termine (2022 e oltre): crescita lenta, inflazione modesta

Tutti i fattori che hanno concorso a deprimere la crescita prima del Covid-19, tra cui il debito elevato, il populismo e la deglobalizzazione, permangono, e sono in molti casi accelerati dalla pandemia. Questi trend peseranno sulla crescita a lungo termine, come hanno fatto per la maggior parte dell’ultimo decennio. La crescita media del PIL nominale si è attestata a malapena al 4% nei cinque anni precedenti la pandemia; un livello analogo, se non più basso, sembra plausibile andando avanti.

Politica monetaria impotente, politica fiscale determinante. Nel lungo periodo, la Fed non può alimentare da sola un’inflazione sostenuta, il che conferisce alla politica fiscale un ruolo determinante. La politica monetaria e quella fiscale devono operare in sintonia – “indissolubilmente legate”, come diciamo noi – per spingere al rialzo la crescita e l’inflazione in modo sostenibile. La Fed ha aperto la porta, e il Segretario del Tesoro entrante, Janet Yellen, sarebbe lieta di attraversarla con un imponente stimolo fiscale. La politica di bilancio, tuttavia, la decide il Congresso, e l’equilibrio politico previsto rende un simile provvedimento improbabile.

In passato gli episodi di monetizzazione del debito – come quello in atto negli USA – hanno provocato un aumento dell’inflazione, ma solo perché le autorità fiscali hanno approfittato della monetizzazione per incrementare la spesa. Se gli Stati Uniti riusciranno a fare lo stesso, potrebbero uscire dalla routine ed entrare in un regime diverso. In caso contrario, la Fed non genererà l’inflazione più elevata a cui punta. Tutto si riduce alla politica fiscale.

Tassi d’interesse ridotti, potenziale perdita di vantaggio in termini di crescita economica. Fintanto che gli Stati Uniti rimarranno nel previsto regime di bassa crescita e bassa inflazione, la Fed manterrà i tassi molto bassi, limitando un potenziale rialzo dei tassi di mercato. Ciò non significa che i rendimenti dei Treasury USA decennali rimarranno sempre inferiori all’1%, ma un ritorno a una forbice del 2,5-3,0% è improbabile nel prossimo futuro.

Con una politica fiscale stagnante o addirittura restrittiva, gli Stati Uniti sarebbero quasi un’eccezione tra le principali economie. In tal caso, è probabile che la traiettoria del PIL statunitense si appiattisca più rapidamente, rendendo scarsamente probabile un aumento significativo su qualsiasi orizzonte previsionale. Un contesto come questo potrebbe erodere il vantaggio di crescita che ha sostenuto i mercati azionari statunitensi a scapito di quelli di altre regioni. Ciò potrebbe condurre anche a un apprezzamento del dollaro nel lungo periodo, se gli Stati Uniti rimarranno indietro mentre il resto del mondo lavora a una reflazione.

Eric Winograd è Senior Economist presso AllianceBernstein (AB).

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono una ricerca, una consulenza di investimento o una raccomandazione di acquisto o di vendita e non esprimono necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di portafoglio di AB. Le opinioni sono soggette a modifiche nel tempo.

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