Con l’intensificarsi del cambiamento climatico, aumenta anche la necessità di agire per contrastare il riscaldamento globale e accelerare la transizione verso l’azzeramento delle emissioni nette di carbonio (obiettivo “net zero”). La soluzione richiede il contributo di tutti: proprietari di asset, imprese, investitori, società di gestione e accademici, ma anche singoli cittadini. Di seguito riportiamo alcuni dei principali argomenti emersi durante le nostre recenti conversazioni con climatologi, proprietari di asset e altri stakeholder impegnati come il resto del mondo ad affrontare questa sfida urgente.

Una sfida globale richiede uno sforzo collaborativo e interdisciplinare

Nuovi studi rivelano che i rischi del cambiamento climatico sono molto più grandi di quanto non si credesse solo pochi anni fa. Il cambiamento climatico è un processo altamente non lineare caratterizzato da ondate di eventi a cascata. I progressi compiuti dai modelli climatici indicano che un aumento delle temperature di 2 °C è oggi altrettanto minaccioso quanto un riscaldamento globale di 4 °C lo era solo alcuni anni fa, e che i rischi di coda sono gravemente sottovalutati.

Il mondo può ancora affrontare questa sfida urgente e azzerare in tempo le emissioni nette di gas serra. Sarebbe persino possibile abbattere le emissioni del 50% entro il 2030, grazie al cambiamento del sentiment degli investitori e al calo dei prezzi delle rinnovabili. Tuttavia, per rispettare i contributi a livello nazionale (NDC) stabiliti nell’Accordo di Parigi, i paesi dovranno impegnarsi in una vera e propria maratona.

Per accelerare la transizione verso l’obiettivo “net zero” devono coalizzarsi tre grandi sfere: la politica pubblica, il settore privato e il mondo accademico. La politica pubblica serve a creare un quadro normativo e fiscale che plasmi l’azione del settore privato e faccia emergere le opportunità di business. Occorrono incentivi e disposizioni vincolanti per favorire il miglioramento delle informative, dei dati e della trasparenza sul clima.

Il settore privato deve fare da battistrada nel percorso verso l’azzeramento delle emissioni nette. Questa transizione richiede investimenti di importo stupefacente: alcune stime parlano di 100.000 miliardi di dollari entro il 2050, provenienti per lo più da fonti non governative. I proprietari di asset, gli investitori e gli altri stakeholder devono tutti insieme assicurare che i capitali siano incanalati verso le soluzioni migliori e che gli emittenti impieghino questi fondi in modo da favorire il conseguimento dell’obiettivo “net zero”, assolvendo al contempo ai propri obblighi fiduciari.

Uno sviluppo fondamentale per incanalare questi capitali è la continua crescita degli investimenti allineati a considerazioni ESG, che si tratti di strategie tradizionali con integrazione ESG o piuttosto orientate a uno specifico scopo. Dato l’enorme volume di capitali richiesto, il campo delle soluzioni deve allargarsi e diversificarsi con l’inclusione di prodotti personalizzati diretti all’innovazione e alla risposta climatica. Saranno gli investimenti mirati – non i disinvestimenti – a rendere possibile l’azzeramento delle emissioni nette.

Non possiamo peraltro trascurare il ruolo determinante dei climatologi, degli economisti e degli esperti di politiche pubbliche, per via delle loro conoscenze approfondite, del loro accesso a fonti inesauribili di dati e della loro partecipazione a programmi di ricerca del settore pubblico. I climatologi – e i loro colleghi di altre discipline – possono aiutare gli investitori ad acquisire una migliore comprensione del cambiamento climatico e ad affinare le loro analisi e i loro strumenti per valutare rischi e opportunità.

Gli investitori devono ampliare i loro strumenti e conoscenze sul clima

Data l’enorme quantità di capitali privati necessari per finanziare la transizione verso un mondo a zero emissioni nette, è fondamentale indirizzare quei fondi in modo efficace. I proprietari di asset e gli investitori sono i principali responsabili di queste importanti decisioni. Che si tratti di valutare i piani di transizione delle imprese, di esplorare nuove aree di opportunità o di promuovere comportamenti migliori, gli investitori devono studiare approfonditamente il cambiamento climatico.

Le difficoltà a livello analitico sono di per sé scoraggianti. Non si tratta semplicemente di determinare il livello delle emissioni complessive di un particolare emittente e di valutare se questi è allineato o meno con uno scenario di riscaldamento globale di 2°C. Gli analisti devono setacciare i bilanci e i modelli di business delle imprese per individuare i rischi fisici e di transizione associati al cambiamento climatico e identificare vulnerabilità e opportunità. Quali sono le implicazioni del cambiamento climatico e della transizione verso l’obiettivo “net zero” per i ricavi e i costi di un emittente? Come influirà la transizione sulla quota di mercato e sul mix di prodotti di un’azienda? I costi climatici possono essere diretti (come le imposte sul carbonio) o indiretti (il costo dei depuratori d’aria). Con l’aumento degli obblighi di informativa sul clima, gli investitori devono esaminare con spirito critico i rapporti sulla sostenibilità e i dati sulle emissioni.

Altrettanto importante è l’engagement, non solo per comprendere i rischi e le opportunità, ma anche per incentivare il progresso. Una volta spiegati il “se” e il “perché” dell’obiettivo “net zero”, i proprietari di asset e gli investitori aiuteranno a determinare il “come”. È necessario valutare rapidamente e accuratamente i piani di transizione e ampliare la copertura degli emittenti. Dalle grandi società dei mercati sviluppati alle aziende dei mercati emergenti, l’engagement è uno strumento efficace per chiamare le imprese a rispondere di eventuali lacune nei loro piani di azzeramento delle emissioni nette.

Utili a tale scopo possono essere le campagne di engagement mirate, come pure le iniziative congiunte condotte tramite coalizioni internazionali. Il progresso verso l’obiettivo “net zero” può essere incrementale, ma deve essere tangibile. Non è necessario che il processo sia altamente prescrittivo, ma gli emittenti dovrebbero essere tenuti a mantenere i loro impegni, anche se questo richiede un’escalation, con il passaggio da discussioni di carattere generale a lettere aperte o delibere degli azionisti. Il disinvestimento va considerato solo quale estrema ratio: il capitale è più efficace quando è presente e incoraggia il cambiamento, non quando è assente.

Le imprese “marroni” e “verdi” giocano un ruolo chiave nella transizione

L’attenzione all’obiettivo “net zero” e la necessità di limitare il riscaldamento globale stanno già influenzando le preferenze degli investitori, che riconoscono premi più elevati alle imprese leader. C’è tuttavia posto anche per gli emittenti che non fanno parte del gruppo dei leader ma che registrano importanti progressi e giocano un ruolo chiave nel favorire la transizione.

Un esempio in tal senso proviene dal mercato dei veicoli elettrici. Questi ultimi sono un ingranaggio importante nel processo di azzeramento delle emissioni nette, e le case automobilistiche stanno modificando i propri business plan per incrementare le vendite di queste vetture, spinte dalla domanda dei consumatori e dalla regolamentazione. Tuttavia, per far funzionare i veicoli elettrici servono le batterie, e queste sono basate su componenti la cui produzione richiede il operatori specializzati nell’estrazione di litio, cobalto, nickel e altri minerali.

Per sfruttare le opportunità e incoraggiare la crescita, è necessario investire lungo tutta la catena del valore dei veicoli elettrici. Ciò non significa che i settori e gli emittenti che non sono green possono continuare a operare come meglio credono, ma soltanto che il disinvestimento da queste imprese che facilitano la transizione non tiene conto dell’enorme difficoltà di spingere un intero pianeta e la società tutta verso un modello di zero emissioni nette, e potrebbe anzi ostacolare i progressi in quella direzione.

È necessario invece effettuare una distinzione tra il “greenwashing” – investitori o emittenti che affermano di avere strategie o prodotti sostenibili quando in realtà non è così – ed emittenti con emissioni di carbonio elevate ma in calo. I contributi di queste imprese all’azzeramento delle emissioni nette vanno ben oltre l’esempio dei veicoli elettrici. I settori delle costruzioni industriali sono indispensabili per la realizzazione di turbine eoliche o dighe, e per mettere in sicurezza o trasferire edifici che si trovano in aree a rischio a causa dell’innalzamento del livello del mare e del maltempo.

Uno approccio pragmatico considera questi settori e le relative imprese lungo un continuum, riconoscendo che giocano un ruolo fondamentale nella transizione “net zero” e che hanno bisogno di tempo – e di essere stimolati da un engagement attivo – per adattarsi ed evolvere. Ma le imprese non hanno a disposizione un tempo infinito per rimettersi in carreggiata, e i proprietari di asset, gli investitori e la società devono spingerli a fare progressi.

Fabbisogno di dati: migliore qualità, maggiore disponibilità e cambiamento culturale

Che si tratti di misurare i rischi climatici nei portafogli di investimento, di valutare i progressi compiuti dagli emittenti lungo i rispettivi percorsi verso l’obiettivo “net zero” o di individuare i migliori canali di finanziamento privato per facilitare la transizione, i dati e le informazioni sono cruciali.

Un valido esempio è quello della modellizzazione del rischio climatico. I modelli disponibili sono ancora immaturi e presentano un’ampia varietà di approcci, punti di forza e debolezze. Una priorità nella raccolta dei dati dovrebbe essere l’espansione della copertura delle asset class, di modo che si possa valutare meglio l’osservanza degli impegni relativi all’azzeramento delle emissioni nette. Gli asset pubblici sono oggetto di una copertura ragionevolmente ampia, ma è più difficile ottenere dati sugli asset non pubblici e su categorie quali i derivati. I proprietari di asset hanno chiesto aiuto agli asset manager, incaricando persino consulenti di condurre esami approfonditi su specifici investimenti.

I progressi nella tecnologia di raccolta dei dati potrebbero aiutare a verificare le emissioni di gas serra in tutto il mondo, ma sono ancora in ritardo di diversi anni. I progressi nelle piattaforme di sensori, compresi i mini-satelliti e i droni, potrebbero rilevare le emissioni in luoghi difficili da raggiungere. Con il miglioramento dei dati raccolti nei prossimi anni, i climatologi possono aiutare gli investitori e i proprietari di asset a distillare le informazioni rilevanti.

Cosa possono fare gli stakeholder nell’attesa che i dati si portino al passo con le ambizioni “net zero”? I dati sulle emissioni Scope 1 sono relativamente accurati; alcuni aspetti dei dati sulle emissioni Scope 2 e 3 sono utili, ma devono esser perfezionati. L’approccio migliore per il momento è quello di utilizzare i dati relativi alle emissioni Scope 1 e 2, tenendo presente però che l’analisi fondamentale e l’engagement diretto saranno sempre necessari per interpretare i calcoli dell’impronta di carbonio del portafoglio e dell’emittente.

Sembra esserci un ampio consenso sul fatto che un cambiamento culturale sul fronte dei dati sarebbe gradito, poiché l’accesso ai dati è costoso anche quando questi sono disponibili. Il miglioramento della trasparenza e delle norme sulla condivisione dei dati permetterebbero di abbandonare la nozione di dati proprietari e di creare banche dati pubbliche consultabili dagli stakeholder e soggette a revisione per assicurarne l’accuratezza.

Affinché si possa realizzare questo cambiamento, è necessario vincere l’esitazione delle imprese a fornire dati proprietari a livello aziendale, solitamente a causa dei timori per la reputazione o altre conseguenze se i dati comunicati dovessero successivamente rivelarsi poco accurati. Le autorità di governo e i revisori potrebbero essere coinvolti in questo sforzo, in modo da creare una sorta di “salvaguardia” per gli emittenti più trasparenti e per i primi a divulgare i dati sul clima.

Evitare che la “E” della transizione climatica oscuri la “S”

Abbiamo riscontrato anche il desiderio di mantenere un forte collegamento tra la “E” e la “S” di ESG quando si parla di azzeramento delle emissioni nette, al fine di assicurare una “transizione giusta” come affermato nell’Accordo di Parigi.

I poveri e gli emarginati sono più esposti non solo alle ricadute negative del riscaldamento globale, ma anche ai rischi di transizione che accompagnano la riconfigurazione di intere economie e settori. Pensiamo, ad esempio, all’impatto di vasta portata sui lavoratori nelle aree in cui operano imprese ad alta intensità di carbonio, vista la diminuzione dei posti di lavoro e il loro spostamento verso processi e strutture più ecosostenibili che potrebbero trovarsi in aree geograficamente distanti.

Che ne sarà dei lavoratori meno qualificati quando l’occupazione si sposterà verso mansioni con un profilo più “verde”, che richiedono abilità e competenze differenti? Cosa accadrà alle città e alle comunità che hanno fatto affidamento su industrie in declino per soddisfare i loro bisogni sociali e infrastrutturali? Ricordiamo l’impatto nel Midwest degli Stati Uniti una generazione fa, quando una quota significativa della base manifatturiera si è trasferita all’estero. Gli investitori devono inoltre riconoscere che le imprese meno ecosostenibili, pur facilitando in alcuni casi la transizione ecologica (come nell’esempio dei veicoli elettrici), continuano ad avere un impatto ambientale su specifiche regioni e sui loro abitanti. Questi impatti devono essere ridotti al minimo, gestiti e risolti.

Assicurare una transizione giusta è una sfida complessa, che richiede uno sforzo concertato per assicurare che i gruppi emarginati non siano lasciati indietro. Dal punto di vista degli investitori, la capacità di integrare accuratamente le considerazioni sociali nelle decisioni di investimento è uno strumento chiave, al pari della capacità di indirizzare opportunamente i capitali per evitare danni indebiti ai gruppi emarginati, e idealmente per favorire risultati migliori.

Conclusione

Questi temi non costituiscono affatto una descrizione esaustiva delle considerazioni suscitate dalla transizione verso l’obiettivo “net zero”, ma evidenziano la necessità di fare passi avanti nella collaborazione tra le sfere pubblica, privata e accademica, in modo da rispondere alle ambizioni e agli impegni crescenti. Una constatazione emersa ripetutamente nelle nostre conversazioni sull’azzeramento delle emissioni nette è la necessità di pragmatismo.

Questo non significa abbassare l’asticella delle ambizioni “net zero”, bensì rimanere concentrati sull’obiettivo finale prendendo al contempo misure concrete e importanti per procedere nella direzione auspicata, mentre il mondo sviluppa meccanismi, strumenti e processi migliori per facilitare la transizione. In altre parole, non si deve permettere che il desiderio di perfezione sia nemico del bene.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, e non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB; tali opinioni sono soggette a revisione nel corso del tempo.

Informazioni sugli autori

Sara Rosner

Sara Rosner è Director of Environmental Research and Engagement del team Responsible Investment. Co-presiede l’ESG Research, Training and Thought Leadership Group di Alliance Bernstein e gestisce la collaborazione di AB con l’Earth Institute della Columbia University, un’iniziativa volta a migliorare la capacità degli investitori di integrare le considerazioni sul cambiamento climatico nei loro processi decisionali e di investimento. Prima di entrare in AB nel 2018, Rosner ha svolto ricerche per il Columbia Center on Sustainable Investment, dove ha lavorato su progetti relativi agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e alle fonti alternative di energia rinnovabile nel settore estrattivo. All’inizio della sua carriera ha lavorato come giornalista specializzata nell’energia e nel finanziamento delle infrastrutture nelle Americhe per Euromoney Institutional Investor. Rosner è membro di 100 Women in Finance e presta servizio volontario per la High Water Women Foundation, dove si occupa di alfabetizzazione finanziaria. Ha conseguito un Bachelor of Science magna cum laude in Studi internazionali presso la Pepperdine University e un Master of Science in Gestione della sostenibilità presso la Columbia University. Sede: New York

Arthur Lerner-Lam, PhD

Arthur Lerner-Lam è Deputy Director del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, che ha sede a Palisades, New York. Sismologo, ha condotto spedizioni scientifiche in Medio Oriente, Europa, Asia centrale e meridionale, nel Pacifico sud-occidentale e in tutti gli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni ha tenuto conferenze e scritto numerosi contributi in materia di identificazione, valutazione e gestione dei rischi naturali. Presso la Columbia University Lerner-Lam dirige i corsi post-laurea in scienze della sostenibilità e scienze e politiche ambientali. Questi corsi forniscono un’ampia comprensione quantitativa dell’ambiente, incluso il clima terrestre, e promuovono il pensiero critico sulle politiche pubbliche e i principi di gestione del settore privato necessari per la resilienza e la sostenibilità. Con i colleghi dei dipartimenti di scienze politiche, economia e affari internazionali, Lerner-Lam ha anche elaborato programmi di studio sulla gestione della sostenibilità e sugli investimenti sostenibili, indicati per i corsi intensivi di certificazione destinati agli alti dirigenti.

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