Fino a che punto la BCE lascerà salire i rendimenti obbligazionari?

25 marzo 2021
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La funzione di reazione della Banca centrale europea (BCE) è sempre meno chiara, in maniera quasi deliberata. Una cosa però è certa: l’istituto continuerà a opporsi a un aumento dei rendimenti obbligazionari nel breve termine.

La settimana scorsa la BCE ha promesso di accelerare gli acquisti di obbligazioni per evitare un inasprimento prematuro delle condizioni finanziarie. Una mossa inaspettata, che ha inviato un segnale forte: Francoforte è determinato a contrastare un aumento dei rendimenti obbligazionari dell’eurozona in una fase in cui i rendimenti statunitensi sono soggetti a pressioni al rialzo.

Gli investitori hanno bisogno di maggiore chiarezza, ma le autorità non la forniscono

Il Consiglio direttivo della BCE non ha tuttavia specificato quante obbligazioni intende acquistare. Inoltre, ha continuato a definire le condizioni finanziarie in modo poco chiaro, utilizzando termini quali “olistiche” e “multiformi”. In effetti, la presidente della BCE Christine Lagarde ha confuso ulteriormente le acque parlando di una “fase a monte” e di un “aspetto a valle” del processo di trasmissione monetaria.

Fortunatamente, possiamo in parte chiarire questi punti.

La BCE può anche preferire un approccio olistico per definire le attuali condizioni finanziarie, ma è chiaro che la variabile più importante su cui concentrarsi è il tasso d’interesse privo di rischio. In passato, questa espressione avrebbe potuto indicare il tasso di rifinanziamento della BCE; oggi, invece, denota l’intera curva dei rendimenti dell’area euro, misurata sulla media ponderata dei rendimenti sovrani o dei tassi swap indicizzati overnight.

Tuttavia, non è chiaro se la BCE pensi al tasso d’interesse privo di rischio in termini reali o nominali: una distinzione importante, che ha diviso il Consiglio direttivo. Al centro di questa divisione c’è una differenza di vedute sull’efficacia della politica monetaria.

I membri del Consiglio direttivo, convinti che la politica monetaria possa ancora giocare un ruolo attivo nel dare impulso all’inflazione, ritengono che l’attuale politica non sia ancora abbastanza espansiva. A loro giudizio, la BCE dovrebbe opporsi a un aumento dei rendimenti nominali anche se le aspettative d’inflazione cominciano a salire (poiché ciò si tradurrebbe in un calo dei rendimenti reali e in una politica più espansiva). Il membro del Comitato esecutivo Fabio Panetta ha recentemente espresso con forza questo punto di vista.

Altri membri del Consiglio direttivo temono invece che la politica monetaria della BCE stia per esaurire la propria efficacia e nutrono crescenti timori per gli effetti collaterali negativi. Vedono pertanto con favore un rialzo dei rendimenti nominali, a condizione ch’esso sia preceduto da un aumento delle aspettative d’inflazione (che lasci invariati i rendimenti reali e la portata della politica monetaria).

Politica monetaria: intensità vs durata

Il membro del Comitato esecutivo Isabel Schnabel ha recentemente accennato a questa differenza di approccio, parlando di “intensità” e “durata” dello stimolo monetario. Questo è un modo utile per inquadrare l’attuale dilemma della BCE. Il Consiglio direttivo dovrebbe utilizzare l’aumento delle aspettative d’inflazione come opportunità per aumentare l’intensità dell’azione di stimolo? Oppure dovrebbe assumere un atteggiamento più paziente, concentrandosi sulla durata del sostegno politico straordinario?

Se Mario Draghi fosse al comando della BCE, forse conosceremmo già la risposta a questa domanda: la storia suggerisce che l’ex presidente si schiererebbe a favore dell’intensità e cercherebbe di spingere il resto del Consiglio direttivo nella stessa direzione. Ma il timone adesso è in mano a Christine Lagarde, che preferisce un approccio più consensuale. Di conseguenza, potremmo non conoscere la risposta al dibattito su tassi reali vs nominali (o intensità vs durata) fino alla seconda parte di quest’anno, quando la BCE pubblicherà il riesame della strategia di politica monetaria.

Fino ad allora, le strade percorribili sono due. La prima è che la BCE si opponga a un aumento dei rendimenti nominali; la seconda è che si concentri sui rendimenti reali e regoli il livello dei rendimenti nominali in funzione dell’andamento delle aspettative d’inflazione, un approccio che potremmo chiamare “controllo dinamico della curva dei rendimenti”. Philip Lane, Chief Economist della BCE, ha menzionato questo approccio in una recente intervista al Financial Times.

Controllo dinamico della curva dei rendimenti

Nelle ultime settimane le aspettative d’inflazione dell’area euro (misurate dall’inflation swap a 5 anni su un orizzonte quinquennale) sono salite all’1,5%, contribuendo a mantenere i rendimenti reali entro pochi punti base dai minimi storici nonostante l’aumento dei rendimenti nominali (cfr. Grafico in basso). Se la BCE è attualmente focalizzata sui rendimenti reali, come sospettiamo, il Consiglio direttivo non dovrebbe essere eccessivamente preoccupato per i futuri sviluppi.



Questo approccio presenta tuttavia alcuni svantaggi. La recente risalita delle aspettative d’inflazione potrebbe essere temporanea e durare solo finché la BCE sarà disposta a effettuare acquisti imponenti di titoli obbligazionari. Qualsiasi tentativo di ridurre gli acquisti potrebbe infatti essere interpretato come una mancanza di impegno a perseguire l’obiettivo d’inflazione. La soluzione sarebbe passare al controllo della curva dei rendimenti nominali, ma il Consiglio direttivo non è ancora pronto a fare questo passo. Di conseguenza, le aspettative d’inflazione del mercato continueranno a essere un indicatore chiave della tolleranza della BCE per un aumento dei rendimenti obbligazionari.



Come notato in precedenza, nelle ultime settimane le aspettative d’inflazione sono aumentate e potrebbero persino ristabilirsi intorno al livello medio del 2015-2018, pari all’1,6% (cfr. Grafico in alto). Alla luce di questo, è probabile che la BCE non opponga troppa resistenza a un modesto incremento dei rendimenti nominali (forse nell’ordine di 10-20 punti base).

Un rialzo significativo dei rendimenti obbligazionari, tuttavia, richiederebbe una marcata variazione delle aspettative d’inflazione, che dovrebbero salire verso la media del 2,3% registrata nel 2010-2014. Una simile eventualità ci sembra poco plausibile. Come minimo, richiederebbe probabilmente uno shock fiscale (sostenuto) in stile statunitense o uno stimolo di enorme portata da parte della BCE, il che non è facile quando la politica monetaria è già spinta al massimo.

Di conseguenza, restiamo convinti che la BCE continuerà a mantenere i rendimenti obbligazionari nominali su livelli non troppo lontani da quelli attuali.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, e non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB; tali opinioni sono soggette a revisione nel corso del tempo.