Come cambierà il ruolo delle banche centrali dopo il coronavirus?

04 giugno 2020
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COVID-19 ha costituito un catalizzatore per un cambiamento strutturale nel ruolo delle banche centrali. L’obiettivo principale degli istituti di emissione è adesso fornire ai governi le munizioni per combattere il virus, e ciò significa mantenere i rendimenti obbligazionari vicino a zero per il prossimo futuro.

Il mutevole ruolo delle banche centrali

Nel corso della storia le banche centrali hanno svolto tre ruoli principali: mantenere l’inflazione bassa e stabile (stabilità dei prezzi), salvaguardare la stabilità finanziaria e aiutare i governi a saldare i propri conti (monetizzazione). Questi tre ruoli hanno assunto una diversa importanza nel tempo e spesso si sono trovati in conflitto. Nei trent’anni che hanno preceduto la crisi finanziaria globale, ad esempio, la maggior parte delle banche centrali si è concentrata sulla stabilità dei prezzi. Questo approccio, tuttavia, ha condotto alla più rovinosa crisi finanziaria dai tempi della Grande depressione, per cui le banche centrali hanno aggiunto al mix di obiettivi (almeno formalmente) la stabilità finanziaria.

Negli ultimi decenni la monetizzazione diretta è passata di moda, con qualche strana e notevole eccezione (Venezuela, Zimbabwe). In passato, però, le banche centrali hanno spesso aiutato i governi a far fronte alle proprie spese, specialmente in tempo di guerra. Non stupisce, dunque, che le autorità monetarie siano intervenute per assicurare ai paesi le munizioni finanziarie necessarie per affrontare la pandemia da COVID-19 senza innescare un aumento controproducente dei rendimenti obbligazionari.

Un brutto momento per una crisi

I conti pubblici di molti paesi non erano in gran forma alla vigilia della crisi del coronavirus, e presto verseranno in condizioni molto peggiori. Alla fine dello scorso anno, il debito pubblico aggregato del G7*, il gruppo delle grandi nazioni industriali, era pari a quasi il 120% del prodotto interno lordo (PIL), un livello superiore a quello raggiunto alla fine delle due guerre mondiali. Quest’anno, a fronte del brusco aumento dei disavanzi di bilancio e del probabile crollo del prodotto aggregato, quella percentuale potrebbe arrivare a toccare il 140% del PIL.



C’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui una cifra del genere sarebbe stata considerata insostenibile. All’inizio della crisi dei debiti sovrani europei, il rapporto debito-PIL della Grecia si attestava al 146%. Rapporti di indebitamento così elevati non sono più considerati insostenibili, perché i tassi d’interesse sono molto contenuti. Ma quanto devono essere bassi i tassi d’interesse affinché le principali economie sviluppate rimangano solvibili?

Quale livello dei tassi d’interesse mantiene stabile il rapporto debito/PIL?

Per approfondire questo punto, abbiamo calcolato i tassi d’interesse stabilizzatori del debito (”debt-stabilizing interest rates”, DSIR) per alcune economie sviluppate. Questo semplice calcolo stima il costo medio di finanziamento necessario per mantenere stabile il rapporto debito/PIL. Il DSIR è basato su tre variabili: il livello del debito pubblico, le dimensioni del saldo di bilancio primario (esclusa la spesa per interessi) e la crescita prevista del PIL nominale. A scopo illustrativo, utilizziamo le previsioni 2021 del Fondo monetario internazionale per il debito pubblico e il saldo primario, e proiezioni nostre per la crescita del PIL nominale (cfr.Grafico).



Secondo la nostra simulazione, i DSIR vanno da un massimo dell’1,7% in Germania a -1,1% nel Regno Unito, -1,3% negli Stati Uniti e -1,5% in Francia. Questo non significa che gli Stati Uniti spingeranno il proprio tasso di riferimento in territorio negativo; continuiamo a pensare che ciò sia improbabile. Significa però che il debito pubblico si porterà su un territorio accidentato, a meno che il costo di finanziamento medio non venga mantenuto estremamente basso, specialmente nei paesi con DSIR negativi. Ed è qui che entrano in gioco le banche centrali.

Nelle ultime settimane molti istituti di emissione hanno lanciato, riaperto o ampliato programmi di acquisti di titoli di Stato su larga scala. Si tratta di una risposta politica simile a quella messa in campo durante la crisi finanziaria globale, ma con alcune differenze fondamentali. La risposta alla crisi del coronavirus è stata più rapida e più ampia: in marzo e aprile la Federal Reserve ha acquistato debito del Tesoro per 1.500 miliardi di dollari, cosa che durante la crisi finanziaria globale aveva richiesto quattro anni. Gli acquisti sono peraltro destinati a proseguire. Anche l’obiettivo di questi interventi è diverso: le autorità monetarie oggi parlano molto più apertamente del legame tra i loro acquisti e i costi di finanziamento dei governi.

Politica fiscale e monetaria indissolubilmente legate

Pochissime banche centrali sarebbero disposte ad ammettere che sono impegnate in una monetizzazione dei disavanzi pubblici, ma questo è proprio ciò che stanno facendo e, soprattutto, è precisamente ciò che dovrebbero fare nelle attuali circostanze. Proprio come in tempo di guerra, le autorità monetarie attualmente non hanno altra scelta se non quella di favorire quel nesso che offusca la distinzione tra politica monetaria e fiscale, rendendo di fatto le due indissolubilmente legate.

Col tempo i governi e gli elettori dovranno decidere come gestire al meglio i livelli molto elevati di debito pubblico. Default, austerità e aumento dell’inflazione sono tre possibili opzioni. In alternativa, potrebbero decidere di minimizzare l’importanza del debito pubblico, come raccomandano alcuni sostenitori della teoria monetaria moderna. Questi, però, sono interrogativi da affrontare in futuro. Fino ad allora, è importante che i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari rimangano contenuti.

Negli ultimi mesi, le banche centrali hanno chiaramente dimostrato di avere sia la capacità che la volontà di tenere sotto controllo i rendimenti obbligazionari. Di conseguenza, in una fase in cui le prospettive globali sono soggette a numerose incertezze, siamo fermamente convinti che i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari saranno mantenuti vicino a zero e, in alcuni casi, in territorio negativo, e questo probabilmente finché la crisi del coronavirus non sarà passata.

*Il G7 è costituito da Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono una ricerca, una consulenza di investimento o una raccomandazione di acquisto o di vendita e non esprimono necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di portafoglio di AB. Le opinioni sono soggette a modifiche nel tempo.