Fattori attenuanti
Mentre l’area dell’euro si prepara ad affrontare un inverno chiaramente difficile, tre fattori suggeriscono di non cedere a un pessimismo eccessivo.
Innanzitutto, non siamo in presenza di un ciclo economico normale. Proprio come nel secondo trimestre, una contrazione del prodotto negli ultimi tre mesi dell’anno sarà il risultato di un’azione politica deliberata, volta a rallentare la diffusione del virus, a evitare che i sistemi sanitari vengano sopraffatti e a salvare vite umane. Come in primavera, i lockdown saranno quindi probabilmente accompagnati da misure di sostegno alle famiglie e alle imprese vulnerabili. A questo proposito, vale la pena di notare che molti dei meccanismi di supporto introdotti all’inizio di quest’anno sono ancora operativi (alcuni, in realtà, facevano già parte dell’architettura fiscale esistente). Inoltre, non c’è dubbio che saranno adottate ulteriori misure, se necessario.
In secondo luogo, a differenza della primavera, questa volta l’area euro non è interessata da uno shock negativo proveniente dalla Cina, semmai l’opposto. Mentre i flussi commerciali rimangono nel complesso deboli, gli scambi con la Cina negli ultimi mesi sono stati molto robusti, e questo può, in parte, contribuire a spiegare l’ottima performance registrata di recente dal settore manifatturiero dell’area euro.
In terzo luogo, le stime preliminari mostrano che l’economia dell’eurozona ha messo a segno una ripresa del 12,7% nel terzo trimestre, che ha portato il prodotto aggregato ad appena il 4,3% al di sotto dei livelli pre-crisi, ovvero a circa la metà dello scarto che ci aspettavamo alcuni mesi fa. Il messaggio è chiaro: a condizione che ricevano un sostegno fiscale sufficiente, le economie possono recuperare velocemente dai lockdown. E questo è altrettanto pertinente per il secondo trimestre del prossimo anno quanto per il terzo trimestre di quest’anno.
Implicazioni per la Banca centrale europea (BCE) e per l’euro
Quali sono le implicazioni di tutto questo per la BCE e per l’euro?
Per la BCE, il peggioramento delle prospettive a breve termine non fa che aggiungersi alla mole schiacciante di prove che evidenziano la necessità di politiche monetarie ancora più accomodanti. In effetti, la BCE ha già segnalato un probabile allentamento monetario a partire dalla riunione del Consiglio di dicembre. E per quanto l’istituto di Francoforte abbia dichiarato l’intenzione di ricorrere a tutti gli strumenti disponibili, è plausibile che l’intervento più poderoso assuma la forma di un’altra espansione ed estensione del programma di acquisto per l’emergenza pandemica (PEPP).
Quanto all’euro, è evidente che la ripresa del COVID-19 rappresenta un importante ostacolo a breve termine per un ulteriore apprezzamento della moneta unica. La situazione potrebbe cambiare nelle prossime settimane, soprattutto se gli Stati Uniti seguiranno un percorso simile nella lotta al virus. Il nostro giudizio positivo sull’euro, tuttavia, non dipende dal virus, ma si basa piuttosto su due cambiamenti strutturali fondamentali.
In primo luogo, il miglioramento del quadro di governance ha ridotto il rischio di frammentazione ed è probabile che si traduca in uno stimolo fiscale nettamente maggiore di quanto ci aspettassimo qualche mese fa. Per questo motivo, anche se dovesse concretizzarsi il nostro scenario più sfavorevole, siamo più ottimisti riguardo alla capacità dell’eurozona di riprendersi dal COVID-19 di quanto non fossimo all’inizio della crisi.
In secondo luogo, l’eccezionalità della politica monetaria statunitense è giunta al termine, come evidenziato dal recente passaggio della Fed all’average inflation targeting, ossia al perseguimento di un obiettivo d’inflazione medio.
Entrambi questi fattori continuano a giustificare, a nostro avviso, un ulteriore apprezzamento strutturale dell’euro, anche se, per riprendere slancio, la moneta unica potrebbe aver bisogno di notizie migliori (in termini relativi) sul COVID-19.