Lo shock energetico spinge a ripensare le politiche monetarie

10 marzo 2022
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L’invasione russa dell’Ucraina ha scosso l’economia globale, contribuendo a ulteriori impennate dei prezzi di energia e materie prime. Questi nuovi catalizzatori inflazionistici produrranno effetti diversi sulle decisioni di politica monetaria, poiché le economie regionali partono da diverse situazioni iniziali che ne determinano l’eventuale capacità di sopportare il rincaro delle materie prime.

La crisi ucraina sta avendo tragiche ripercussioni per la popolazione locale, mentre i suoi effetti macroeconomici si stanno facendo sentire in tutto il mondo. Secondo i dati della Banca Mondiale, la Russia e l’Ucraina rappresentano insieme meno del 2% del PIL mondiale. Si tratta di una quota piuttosto ridotta, e che tuttavia cela il loro sproporzionato impatto in quanto esportatori di materie prime essenziali, verosimilmente destinato a danneggiare l’economia globale in due modi. Innanzitutto, il conflitto in Ucraina determinerà una riduzione delle spedizioni di prodotti agricoli e industriali; in secondo luogo, le sanzioni occidentali impediranno l’esportazione di materie prime da parte della Russia. In entrambi i casi è probabile che le restrizioni sul fronte dell’offerta portino a un ulteriore aumento dei prezzi.

Le conseguenze dello shock sul fronte di grano e fertilizzanti per i prezzi dei generi alimentari

La Russia e l’Ucraina ammontano, complessivamente, a oltre il 25% delle esportazioni di grano a livello globale. La prima rappresenta, da sola, circa il 13% delle esportazioni globali di fertilizzanti azotati. Il conflitto, dunque, è inevitabilmente destinato a provocare rincari dei generi alimentari in tutto il mondo. Le nostre ricerche indicano che tale impatto sarà avvertito sproporzionatamente di più nei Paesi appartenenti ai mercati emergenti, che fanno maggiore affidamento sulle importazioni dall’Ucraina e dalla Russia, tra cui Egitto, Indonesia, Brasile e Turchia.

Il gas neon è un’altra materia prima che risentirà con tutta probabilità del conflitto. Iceblick, azienda con sede a Odessa, è responsabile del 65% delle forniture globali di gas neon, utilizzato nel processo di litografia laser fondamentale per la produzione di chip per computer. In questo caso le ripercussioni saranno probabilmente maggiori per i Paesi sviluppati.

La variabile più importante, tuttavia, è rappresentata potenzialmente dal ruolo della Russia come esportatrice di energia. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, il Paese è il terzo produttore al mondo di petrolio dopo Stati Uniti e Arabia Saudita, nonché il primo esportatore al mondo di petrolio verso i mercati globali. La Russia, in particolare, soddisfa all’incirca il 40% del fabbisogno energetico dell’Europa.

Il rincaro del petrolio è una questione influente

I prezzi del petrolio erano in aumento già prima dell’invasione russa. I prezzi si stanno avvicinando al picco di 140 dollari al barile (al 7 marzo 2022) registrato nel 2008 e, se lo superassero, potremmo dover affrontare una crisi globale (v. grafico in basso).



A partire dallo shock petrolifero degli anni ‘70 l’efficienza energetica è costantemente aumentata, così che per imprese e consumatori è divenuto più semplice assorbire le oscillazioni dei prezzi. I nuovi record registrati dai prezzi, tuttavia, sono destinati a mettere alla prova i Paesi dipendenti dalle importazioni. In Europa diverse economie dipendono in misura elevata dalle forniture russe e sono vulnerabili all’impennata regionale dei prezzi del gas, i cui livelli sono attualmente pari a oltre dieci volte quelli prepandemici.

Prospettive di crescita a rischio

Cosa pensano le autorità monetarie degli shock sul fronte dell’energia e delle materie prime? Nel breve periodo il rincaro dell’energia ha un effetto stagflazionistico: provoca un boom dei prezzi a breve termine ma nel lungo periodo frena la crescita costringendo i consumatori a ridimensionare l’acquisto di altri beni e servizi.

Negli ultimi decenni le autorità hanno generalmente trattato gli shock dei prezzi delle materie prime alla stregua di un fenomeno temporaneo. In genere la loro decisione di non inasprire le politiche in reazione a tali shock si è rivelata assennata. In questa situazione, tuttavia, considerando il livello già alto delle pressioni inflazionistiche, dare per scontato che le aspettative inflazionistiche rimangano stabili potrebbe essere rischioso. Oggi la risposta giusta dipende dall’equilibrio sottostante tra inflazione e crescita, che varia da regione a regione.

Valutare le differenze regionali

Per vagliare tale equilibrio abbiamo messo a confronto la crescita dei redditi nominali e reali in Europa e negli Stati Uniti. Dalle nostre ricerche emerge che la situazione dei consumatori statunitensi è tale da consentire loro di far fronte molto meglio alle attuali pressioni sui prezzi, dal momento che essi godono di una crescita dei redditi reali (rappresentati come proxy dai salari) positiva. Essa fornisce loro un cuscinetto che li rende in grado di assorbire il rincaro dei costi energetici (v. grafico in basso).



Nell’area euro, al contrario, sebbene i salari nominali aumentino a un tasso del 4%, il più alto dalla Crisi finanziaria globale, la crescita di quelli reali è stagnante o perfino lievemente negativa. L’aumento dei prezzi, di conseguenza, erode il potere d’acquisto dei consumatori. Questo senza considerare il rincaro del 60% del gas naturale registrato nelle ultime settimane e i potenziali aumenti dei prezzi delle soft commodity e dei generi alimentari.

Nell’eventualità di un ulteriore aumento dell’inflazione in Europa la regione rischia a nostro avviso di andare incontro a uno shock di domanda negativo nel corso di quest’anno. Segnalando recentemente la possibilità di aumentare i tassi d’interesse, la Banca centrale europea, data la precarietà dei redditi reali, sta giocando con il fuoco. Nel 2011 l’istituto ha messo in soffitta le regole di politica monetaria rialzando i tassi in un contesto di contrazione dei redditi reali, ma si è presto reso conto dell’errore tornando sui propri passi.

Nel Regno Unito, considerando la flessione dei redditi reali sperimentata nel Paese, il quadro è piuttosto simile; ciononostante, a differenza della BCE, la Bank of England ha già avviato un ciclo di rialzo dei tassi. Aumentare i tassi proprio ora potrebbe non essere una grande idea, ma qualora la BoE decida di procedere è probabile, a nostro parere, che si fermi prima del previsto per via dello shock economico.

Negli Stati Uniti stiamo assistendo a dinamiche di tipo diverso. Sebbene l’inflazione sia più elevata che in Europa, lo è altrettanto la crescita dei redditi. I salari nominali aumentano rapidamente a un tasso annuo pari a circa il 10% mentre quelli reali crescono del 2,7%, in linea con la propria media di lungo periodo. È possibile che tali dati non rispecchino la situazione di ogni singola famiglia, ma nel complesso l’economia sta crescendo leggermente più dell’inflazione o quantomeno in linea con essa. Dal punto di vista della Federal Reserve ciò significa che l’economia statunitense è in grado di tollerare i rialzi dei tassi. Poiché è improbabile che un aumento dell’inflazione provochi un drastico rallentamento dell’economia, riteniamo che le pressioni derivanti dal conflitto tra Russia e Ucraina non debbano dissuadere la Fed dal proprio proposito di aumentare i tassi.

Detto ciò, una certa cautela è d’obbligo. Eventuali conseguenze imprevedibili del conflitto potrebbero incidere sulle aspettative dei consumatori o intaccare gli investimenti da parte delle imprese. Alcune banche potrebbero inoltre presentare esposizioni occulte nei confronti della regione. Date le incertezze generate dall’invasione russa è a nostro avviso probabile che la Fed agisca in modo cauto, avviando il proprio ciclo di inasprimento delle politiche con un rialzo da 25 punti base nel corso di questo mese.

Nei mercati emergenti determinate banche centrali si trovano in una posizione particolarmente difficile. In America Latina e nell’Europa orientale le pressioni inflazionistiche sono state finora più acute e la maggior parte delle autorità monetarie ha già provveduto ad aumentare i tassi.

Gli investitori detestano l’incertezza e tendono a preferire una gamma più ristretta di possibili scenari. Oggi non possiamo permetterci questo lusso. Mentre la guerra imperversa, tuttavia, occorre tenere a mente che non tutti i potenziali esiti macroeconomici portano a una recessione. Nell’eventualità di una rapida conclusione del conflitto, ad esempio, i prezzi delle materie prime potrebbero calare prima che si verifichi una distruzione della domanda. Data la fluidità della situazione le autorità monetarie di tutto il mondo dovranno compiere un delicato e non semplice numero di equilibrismo.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono una ricerca, una consulenza di investimento o una raccomandazione di acquisto o di vendita e non esprimono necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di portafoglio di AB. Le opinioni sono soggette a modifiche nel tempo.