Outlook azionario: la guerra intensifica l’impatto dell’inflazione

12 aprile 2022
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I mercati azionari hanno perso terreno nel primo trimestre poiché l’invasione russa dell’Ucraina ha destabilizzato le prospettive di crescita, amplificato i timori riguardo all’aumento dei tassi d’interesse e accentuato i rischi geopolitici. Il conflitto ha generato molte incertezze, ma riteniamo che sarà la persistente inflazione il fattore d’influenza dominante per gli investitori azionari nel 2022 e oltre.

Dopo sette trimestri consecutivi di rialzi, all’inizio del 2022 i mercati azionari hanno subito una brusca battuta d’arresto. L’MSCI World Index ha ceduto il 4,6% in termini di valuta locale (cfr. Grafico), ma a fine trimestre aveva recuperato tutte le perdite subite dall’inizio dell’invasione. I mercati di Australia, Regno Unito e Giappone hanno dato prova di buona tenuta, mentre Europa, mercati emergenti e Cina hanno sottoperformato.



Le flessioni del mercato non sono imputabili unicamente alla guerra. All’inizio del trimestre le azioni tecnologiche sopravvalutate hanno perso terreno , specialmente negli Stati Uniti, poiché questi titoli sono più vulnerabili all’aumento dei tassi d’interesse. Gli investitori temevano anche che la stretta monetaria potesse pregiudicare la ripresa dell’economia mondiale dalla pandemia. Inoltre, le azioni cinesi hanno patito un’estrema volatilità a causa dei timori suscitati dalla regolamentazione dei colossi di Internet, dal rischio di default nel mercato immobiliare e da un focolaio di COVID-19.

A livello settoriale si sono registrate performance eterogenee (cfr. Grafico in basso a sinistra). I titoli energetici hanno segnato un rialzo, mentre le azioni tecnologiche e quelle dei beni voluttuari sono crollate. I settori difensivi come i servizi di pubblica utilità e la sanità hanno evidenziato una certa resilienza. Le azioni value, che tendono a beneficiare dell’aumento dei tassi d’interesse, hanno sovraperformato di un ampio margine i titoli growth (cfr. Grafico in basso a destra).

La volatilità in prospettiva

La volatilità è dapprima aumentata, per poi diminuire. Nel primo trimestre l’MSCI World ha evidenziato variazioni di ampiezza pari o superiore all’1%, in positivo e in negativo, nel corso di 26 giornate di contrattazione. Tuttavia, nonostante un deciso rialzo, l’indice VIX (che misura la volatilità sul mercato azionario statunitense) non si è avvicinato ai livelli osservati durante il sell-off provocato dalla pandemia all’inizio del 2020. In un mutamento sorprendentemente veloce del sentiment, a fine trimestre il VIX è risceso verso la media a lungo termine, segno che l’ansia degli investitori si è notevolmente attenuata.



A partire dall’invasione del 24 febbraio, la volatilità è stata provocata da tre fattori. In primo luogo, si è registrato un aumento dell’avversione al rischio poiché gli investitori sono rimasti sconvolti dal primo grande conflitto bellico scoppiato in Europa dopo la Seconda guerra mondiale e dalla catastrofe umanitaria che ne è velocemente seguita. Il continuo aumento delle vittime civili e la fuga di oltre 4 milioni di rifugiati dall’Ucraina hanno alimentato i timori di uno scontro militare diretto tra la Russia e i paesi NATO e sollevato la prospettiva terrificante di uno scontro nucleare.

In secondo luogo, le severe sanzioni imposte alla Russia hanno condotto alla rimozione dei titoli russi dagli indici MSCI, facendo piazza pulita delle posizioni di alcuni investitori, in particolare nei portafogli dei mercati emergenti. In terzo luogo, il conflitto si è manifestato sui mercati sotto forma di interruzioni delle esportazioni russe e ucraine di materie prime come petrolio, gas e frumento. Questo ha alimentato forze inflazionistiche che hanno minacciato di spingere le economie verso la recessione, o peggio, verso la stagflazione, una dolorosa combinazione di ristagno della crescita e rialzo dei prezzi. Le apprensioni riguardo alla tenuta delle catene di fornitura suscitate dalla situazione del COVID-19 in Cina hanno accresciuto questi rischi.

L’inflazione si prospetta vischiosa

Le spinte inflazionistiche erano percepibili già all’inizio del 2022. Negli ultimi anni le forze deflazionistiche della globalizzazione hanno risentito di diverse pressioni. Le tendenze populistiche, dalla Brexit nel Regno Unito alla guerra commerciale USA-Cina, hanno spinto paesi e aziende a ripensare le catene di fornitura globali. Successivamente, la pandemia ha causato diffuse interruzioni degli approvvigionamenti e le banche centrali hanno attuato politiche monetarie straordinariamente accomodanti.

Adesso la guerra Russia-Ucraina ha esacerbato queste pressioni. Anche se alcune interruzioni legate alla guerra saranno risolte, i paesi e le imprese sono alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento di input essenziali, dal petrolio e gas ai componenti auto, dai microchip agli ingredienti alimentari. Con la localizzazione delle fonti di approvvigionamento i prezzi rimarranno elevati, perché le imprese non produrranno necessariamente materie prime e componenti nei luoghi più convenienti in termini di costi. Inoltre, la domanda di personale a livello locale continuerà plausibilmente a spingere al rialzo i salari, specialmente a causa dell’esodo senza precedenti dai posti di lavoro dipendente, un fenomeno che è stato ribattezzato le “Grandi dimissioni”. Adesso è chiaro che l’inflazione sarà vischiosa.

A febbraio l’inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti ha raggiunto un tasso annualizzato del 7,9%, il livello più alto degli ultimi 40 anni. Sempre a febbraio l’inflazione dell’eurozona è balzata al 5,8% mentre quella del Regno Unito ha segnato un record trentennale del 6,2%. Persino in Giappone, un paese che ha combattuto per anni con le pressioni deflazionistiche, l’inflazione dei prezzi al consumo potrebbe avvicinarsi quest’anno all’obiettivo del 2% fissato dalla banca centrale.

Lo shock dell’offerta crea nuove sfide

Dato che oggi l’inflazione è causata da uno shock dell’offerta, le sfide sono molto diverse rispetto a quelle poste dalle fiammate inflazionistiche del recente passato. Le banche centrali si trovano davanti a un compito monumentale. Negli Stati Uniti la Fed ha cominciato a innalzare i tassi d’interesse nel primo trimestre e ha assunto un orientamento più restrittivo. Anche la Banca centrale europea si è mossa in direzione di una stretta monetaria, ma la regione è esposta a maggiori rischi per la crescita perché i consumi sono molto più deboli. Date le complesse forze che alimentano l’inflazione, le banche centrali devono operare con grande flessibilità per evitare che i loro interventi mettano a repentaglio la crescita.

Gestire l’inflazione senza compromettere la crescita sarà molto complicato. L’inflazione di oggi è dilagante e tocca molti prodotti e settori a livello globale. Tra le sue molteplici fonti troviamo non solo le carenze tradizionali, ma anche le frizioni geopolitiche, la ritirata dalla globalizzazione e il mutamento delle preferenze della forza lavoro. È necessario individuare nuove fonti di approvvigionamento e creare nuove catene di forniture, e l’approccio tradizionale di innalzare i tassi d’interesse per raffreddare la domanda potrebbe rivelarsi meno efficace che in passato.

Gestire l’inflazione senza compromettere la crescita sarà molto complicato. L’inflazione di oggi è dilagante e tocca molti prodotti e settori a livello globale. Tra le sue molteplici fonti troviamo non solo le carenze tradizionali, ma anche le frizioni geopolitiche, la ritirata dalla globalizzazione e il mutamento delle preferenze della forza lavoro. È necessario individuare nuove fonti di approvvigionamento e creare nuove catene di forniture, e l’approccio tradizionale di innalzare i tassi d’interesse per raffreddare la domanda potrebbe rivelarsi meno efficace che in passato.

Anche se l’inflazione diminuisce, riteniamo probabile che rimarrà più elevata del livello a cui siamo abituati da molti anni. In questo nuovo mondo, gli investitori azionari dovrebbero a nostro avviso applicare all’analisi fondamentale una visione strategica dei trend inflazionistici. Questo significa comprendere la relazione tra inflazione, utili e rendimenti, capire gli impatti micro su settori e imprese e sviluppare criteri d’investimento secondo diverse filosofie e processi di portafoglio.

Dalla crescita degli utili all’erosione della redditività

L’aumento dei prezzi comporta varie difficoltà per le imprese. Se è vero che l’inflazione spesso dà impulso ai ricavi, i profitti nominali devono crescere velocemente per sopravanzare l’aumento dei costi. Finché l’inflazione rimane moderata, gli utili tendono a crescere più velocemente dei prezzi. Secondo la nostra ricerca, nei periodi in cui l’inflazione si è collocata tra il 2% e il 4% su base annua, le imprese statunitensi hanno registrato una crescita degli utili reali dell’8,8% all’anno dal 1965. Abbiamo riscontrato tendenze analoghe per le imprese globali in un lasso di tempo più breve.

Le aziende saranno però in grado di mantenere la crescita degli utili nel contesto in cui ci troviamo? Da un esame degli indicatori di redditività emergono varie difficoltà. I margini di profitto netti globali sono attualmente molto elevati (cfr. Grafico), segno che la redditività potrebbe presto andare incontro a una diminuzione. La combinazione di margini elevati, rallentamento della crescita e pressioni di costo eroderà secondo noi la redditività di molte imprese. Gli investitori azionari devono trovare le aziende in grado di mantenere i propri margini se queste condizioni dovessero persistere.



Crediamo che questo sarà un fattore chiave di differenziazione del potenziale di rendimento azionario a lungo termine nel nuovo contesto inflazionistico. La nostra ricerca indica anche che i rendimenti tendono a presentare una maggiore dispersione dei periodi di inflazione più elevata. Un’ampia dispersione fornisce di solito ai gestori attivi interessanti opportunità di trovare imprese con un miglior potenziale di rendimento.

A tale scopo, gli investitori devono identificare gli effetti microeconomici dell’inflazione che influenzano le prospettive di business, il potenziale di cash flow e i rendimenti futuri delle aziende. Per inquadrare l’analisi a livello di settori e mercati, può essere utile porsi due domande.

Qual è l’andamento dei costi dei fattori produttivi? Molte imprese risentono di revisioni al ribasso delle stime sugli utili a causa dell’aumento dei costi, pur generando ricavi in linea con le attese. Quelle che riescono ad attingere a fonti di approvvigionamento più economiche hanno maggiori chance di preservare i margini all’aumentare dei prezzi. Le aziende capaci di ristrutturare i processi produttivi e le catene di fornitura sono anche maggiormente in grado di mantenere la loro redditività.

L’impresa gode di pricing power? Il pricing power, o potere di determinazione dei prezzi, è sempre un indicatore importante della qualità di un’azienda, ma lo è soprattutto quando l’inflazione è elevata. Agli investitori suggeriamo di cercare imprese prudenti che non apportano bruschi modifiche alla guidance. Un’altra indicazione importante di pricing power proviene dalla stabilità dei margini di profitto recenti. Le imprese con catalizzatori secolari a lungo termine per il loro business, come iniziative di sostenibilità ambientale o l’adozione di nuove tecnologie, sono anche in una posizione migliore per alzare i prezzi senza pregiudicare la domanda.

Caratteristiche di qualità per rischi in evoluzione

Le risposte a queste due domande possono indirizzare i gestori di portafoglio attivi verso le imprese giuste per questo nuovo regime. Essendo stati per la maggior parte sviluppati dopo l’alta inflazione degli anni ‘70, i modelli quantitativi utilizzati nel settore dell’asset management sono formulati per un contesto deflazionistico e potrebbero non fornire indicazioni attendibili per il futuro. Inoltre, dato che l’inflazione ha effetti complessi sulle aziende, un’analisi fondamentale completa che ponga enfasi su caratteristiche di alta qualità è a nostro parere essenziale per trovare le imprese capaci di resistere a condizioni più difficili.

I portafogli di titoli growth, ad esempio, dovrebbero tenersi alla larga dalle aziende che sembrano ancora sopravvalutate dopo il recente sell-off, privilegiando invece quelle con driver di crescita sostenibili in grado di affrontare un contesto macroeconomico più impegnativo. I titoli value hanno storicamente sovraperformato nei periodi di tassi d’interesse in aumento. Tuttavia, siamo dell’avviso che le imprese con cash flow e bilanci di qualità superiore, e chiari catalizzatori di una ripresa, siano preferibili alle aziende meno costose con fondamentali più deboli.

Con l’inizio del nuovo trimestre l’umore sui mercati si è tranquillizzato. I rischi però non mancano: pensiamo ad esempio a un default sul debito russo, all’incertezza sulla crescita cinese o alla fragilità dell’economia mondiale. Anche se il mercato si è stabilizzato dopo lo shock seguito all’inizio della guerra, è bene prepararsi a fronteggiare una maggiore volatilità, in quanto le conseguenze del conflitto si ripercuotono sul sistema commerciale globale. Adottando un approccio disciplinato ai fondamentali societari che ponga enfasi sulle minacce e le opportunità derivanti dall’inflazione, gli investitori possono a nostro avviso posizionarsi con maggiore sicurezza in vista dei tempi complessi che ci attendono.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono una ricerca, una consulenza di investimento o una raccomandazione di acquisto o di vendita e non esprimono necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di portafoglio di AB. Le opinioni sono soggette a modifiche nel tempo.

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