Dalle competenze per la sostenibilità a una collaborazione radicale: i temi emersi dalla COP26

15 febbraio 2022
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La recente Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite tenutasi a Glasgow, nota anche come COP26, ha portato a tante conclusioni di natura generale, tra cui un accordo tardivo tra i Paesi per accelerare sul taglio delle emissioni e l’esigenza di riunirsi nuovamente nel 2022. Di sicuro, c’è ancora molto da fare e ben poco tempo da perdere.

Dagli annunci ufficiali e dai numerosi eventi paralleli che hanno caratterizzato l’incontro di 12 giorni tenutosi a Glasgow, in Scozia, sono tuttavia emersi anche una serie di temi significativi: dal riconoscimento della necessità di progressi sul fronte delle competenze per la sostenibilità e dei catalizzatori finanziari, all’idea che un maggiore impegno collettivo e persino una collaborazione radicale possono imprimere un’accelerazione alla corsa verso l’obiettivo delle zero emissioni (“net zero”).

Dalle “tecnologie pulite” alle “soluzioni per il clima”

È stato interessante osservare il cambio di toni nei confronti dello sviluppo di specifiche tecnologie pulite. Si è parlato ben poco, infatti, di stoccaggio in batteria o energie rinnovabili, tuttora soluzioni di fondamentale importanza nella transizione verso le zero emissioni nette, mentre ci si è focalizzati in particolare sulla nozione di “soluzioni per il clima”.

Ma cosa vuol dire, nella pratica? Stiamo osservando una crescente consapevolezza del fatto che la decarbonizzazione non è solamente un problema riguardante i comparti dell’energia e delle utility, bensì una questione urgente per tutti i settori. Secondo i decisori, tutte le aziende devono ridurre o azzerare le proprie emissioni di gas serra per poter sopravvivere a lungo termine. I dibattiti hanno toccato aspetti come il capitale umano, la cultura e le soluzioni basate sulla natura. L’engagement da parte degli investitori attivi, tra cui AB, sonda il modo in cui gli emittenti di vari settori, comparti e aree geografiche stanno preparando i propri business e sistemi economici per avere successo in un’economia a minori emissioni di CO2.

Cresce lo slancio politico, ma servono ancora stimoli

Le politiche pubbliche volte a permettere la decarbonizzazione sono chiaramente essenziali per stabilire le “regole del gioco” per Paesi e settori. Abbiamo già assistito a importanti iniziative, specialmente nel Regno Unito e nell’Unione europea, ma è previsto un ulteriore slancio: le aziende invocano infatti una maggiore regolamentazione, mentre i gruppi di pressione settoriali lavorano con le autorità di regolamentazione in comparti quali il trasporto merci e l’aviazione per pianificarne la transizione verso le zero emissioni nette.

I gestori e gli investitori devono plasmare queste politiche in modo proattivo. Le pressioni politiche possono tradursi nel sostegno a favore delle norme necessarie, nell’esercitare influenza su quelle in corso di approvazione o in un engagement collettivo e individuale in relazione alle problematiche di policy specifiche di ciascun settore. Un esempio è rappresentato dal lavoro svolto da AB per rafforzare le regole della SEC in materia di informativa sui cambiamenti climatici o dalla nostra collaborazione con altre società del settore per sostenere l’adozione di limiti alla combustione in torcia. Influenzando il quadro politico, la comunità degli investitori può contribuire ad assicurare l’efficacia, la praticità e l’equità delle norme.

La transizione sarà resa possibile dal dialogo con gli emittenti meno virtuosi

Perfino i più convinti sostenitori della necessità di un’azione rapida per raggiungere le zero emissioni stanno abbandonando l’idea del disinvestimento. Questo perché, tra le altre cose, il disinvestimento incoraggia la vendita di asset ad alte emissioni a imprese non quotate, soggette a un minor controllo da parte degli azionisti e a una minore supervisione sul fronte delle tematiche ESG. Inoltre, l’interruzione dei finanziamenti ai mercati con un’alta produzione di emissioni avrebbe un impatto sproporzionato sui Paesi emergenti e di frontiera, quelli più esposti fisicamente ai rischi legati ai cambiamenti climatici, provocando una potenziale “transizione iniqua”. Il ritiro dei capitali aumenterebbe poi il costo del debito, provocando nel breve e medio termine costi gonfiati per l’energia e la filiera.

Piuttosto che deviare completamente i capitali dai settori più inquinanti, osserviamo che sempre più stakeholder si coalizzano per favorire un rafforzamento dell’engagement, cercando di sfruttare il potere del capitale per influenzare il comportamento degli emittenti. Anche loro sono infatti essenziali affinché la transizione avvenga. È perciò necessario un quadro di riferimento orientato alle performance per dialogare con gli emittenti sulle loro prassi e sui loro progressi nella decarbonizzazione e nell’attuazione dei propri piani di transizione aziendale.

Occorre inoltre adottare e rafforzare politiche volte ad intensificare l’engagement qualora questi progressi si rivelassero insufficienti. Esso deve riguardare non solo le attività dell’emittente ma anche le relative filiere, con specifici indicatori chiave di performance e traguardi per valutare i progressi.

Ridurre il divario delle competenze per la sostenibilità

Le decisioni, la leadership e le tecnologie necessarie affinché il mondo imbocchi la strada giusta verso un riscaldamento globale non superiore agli 1,5°C entro il 2050 richiederanno un’enorme opera di “riqualificazione climatica”. Il gap delle competenze per la sostenibilità è particolarmente ampio per le società a più elevate emissioni, che faticano ad assumere talenti. Citando le parole pronunciate da un dirigente d’azienda durante la COP26, “l’acciaio non è attraente”.

Vi è la diffusa necessità di compiere progressi sul fronte delle competenze. Per poter guidare efficacemente le loro aziende nella transizione, ad esempio, i dirigenti dovrebbero potenziare le proprie abilità. Molte aziende ed emittenti, come Stati ed enti locali, trarrebbero vantaggio da una più ampia platea di talentuosi specialisti della sostenibilità, mentre gli investitori, invece, devono continuare ad approfondire la scienza del clima (con l’aiuto degli esperti, se necessario) per poter tradurre tali conoscenze in idee di investimento.

La compensazione delle emissioni è destinata a essere una costante

Si è parlato molto di mercati delle emissioni, del bisogno di più “carbon pricing” e del ruolo dei crediti di compensazione delle emissioni. In assenza di tasse sul carbonio, questi ultimi svolgono un ruolo fondamentale nell’assicurare l’attribuzione di un prezzo corretto alle emissioni. Le attività della COP26 si sono focalizzate sull’inasprimento della governance del mercato globale delle emissioni e sull’eliminazione delle eventuali “scappatoie” tramite l’introduzione di sistemi di verifica dei crediti di carbonio.

L’attuazione dell’articolo 6 dell’accordo di Parigi sui prezzi nei mercati delle emissioni ha avuto notevoli conseguenze, determinando un aumento del costo dei crediti di carbonio basati sulla natura e di quelli del settore dell’aviazione, rispettivamente del 45 e di poco meno del 20%. È possibile che i crediti di compensazione delle emissioni continuino ad esistere in diverse forme e mercati, ma il miglioramento dei meccanismi di assicurazione della qualità e di verifica e quelli sul fronte della trasparenza possono favorire una crescita costante, velocizzando l’adozione di combustibili, tecnologie e soluzioni pulite e garantendo la conservazione del prezioso patrimonio forestale per consentire il sequestro del carbonio.

La finanza mista: una necessità per il finanziamento dell’adattamento ai cambiamenti climatici

Molte conversazioni hanno avuto a che vedere con la necessità di potenziare gli strumenti di finanza mista per finanziare le attività di adattamento ai cambiamenti climatici. La finanza mista prevede l’impiego il capitale di sviluppo in modo creativo per attrarre capitali da più ampie fonti commerciali, con l’obiettivo di finanziare progetti di mitigazione e adattamento dei cambiamenti climatici per poi portarli su scala commerciale. Le strutture e gli strumenti adatti a questi scopi sono spesso individuati dalle banche di sviluppo.

Nel corso della COP26, le società di riassicurazione e le banche d’investimento hanno illustrato opportunità di collaborazione con governi, banche multilaterali e organizzazioni sovranazionali per strutturare il finanziamento di tali progetti. In determinati casi gli investitori collaborano direttamente con governi e società per finanziare progetti relativi a energia, condutture e infrastrutture per la trasmissione. Data l’enorme mole di capitali necessaria per rendere possibile la transizione climatica, un più ampio ricorso alla finanza mista rappresenta un catalizzatore essenziale.

Una “collaborazione radicale” favorisce un empowerment collettivo

Sono in tanti a battersi con passione affinché il mondo imbocchi la strada giusta verso un aumento della temperatura non superiore a 1,5 °C; tra questi vi sono singoli, aziende, industrie, studiosi, governi e organizzazioni sovranazionali e non governative. Nessuno di questi gruppi, però, può da solo limitare il riscaldamento globale: è necessaria una collaborazione radicale tale da riunire diversi attori e risolvere così problemi che trascendono i confini formali.

Asset manager, emittenti, investitori e studiosi accademici costituiscono importanti stakeholder, e il fil rouge di una collaborazione radicale unisce molti dei temi della COP26 che abbiamo appena illustrato, come l’engagement, la riqualificazione in ottica di sostenibilità e la finanza mista. La collaborazione può spingersi ancor più in là, che si tratti di connettere le imprese in cerca di soluzioni con quelle che le possiedono, di collaborare in modi innovativi sul fronte delle tecnologie, di dialogare con le aziende o di attingere alle conoscenze accademiche sul clima per affinare le proprie idee di investimento.

In sintesi, i temi emersi dalla COP26 evidenziano la sempre maggiore urgenza di azzerare le emissioni nette, la necessità di approcci creativi all’empowerment e al finanziamento dei progressi e il riconoscimento che nessun gruppo di stakeholder può farcela da solo. I passi in avanti verso l’azzeramento delle emissioni dovranno essere decisi, innovativi e collettivi. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, e non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB; tali opinioni sono soggette a revisione nel corso del tempo.