Trovare i rischi nascosti nei portafogli azionari passivi

07 giugno 2021
6 min read

I portafogli azionari passivi continuano a guadagnare popolarità, ma alcuni investitori potrebbero non essere al corrente del fatto che un numero ridotto di azioni molto brillanti ha generato la maggior parte dei guadagni negli ultimi anni. Il rischio di concentrazione potrebbe diventare particolarmente oneroso se il contesto favorevole a queste aziende si deteriorasse.

Dal 2010, gli investitori continuano a riversarsi sugli exchange traded fund (ETF) e sui fondi comuni d’investimento indicizzati, cercando di ottenere rendimenti di mercato a un prezzo più basso di quello dei portafogli attivi, evitando al contempo il rischio di sottoperformance. Inoltre, nell’ultimo decennio, i risultati della gestione attiva sono stati in molti casi deludenti.

Tuttavia, la performance delle strategie passive è stata determinata da una minaccia nascosta: il rischio di concentrazione. Il contesto di mercato ha consentito finora a pochi titoli selezionati di generare performance smisurate, ma cosa accadrebbe se le condizioni favorevoli di cui godono queste aziende volgessero al peggio? Questa domanda sta diventando particolarmente pertinente; secondo Bank of America, infatti, nei cinque mesi terminati a inizio aprile gli afflussi mondiali verso i fondi azionari hanno toccato la vetta di 576 miliardi di dollari, superando i 452 miliardi di dollari di investimenti complessivi registrati nei 12 anni precedenti.

Perché la concentrazione può fare male

Il rischio di concentrazione aumenta quando l’esposizione a un singolo titolo, settore o stile diventa troppo elevata rispetto al resto di un portafoglio o di un indice. A volte questo succede di proposito, quando i gestori assumono una posizione ad alta convinzione di notevole entità. Altre volte, il rischio di concentrazione è invece il frutto di una supervisione inefficace o dell’assenza di un adeguato meccanismo di ribilanciamento nel processo d’investimento. In questi casi, le posizioni preferite crescono notevolmente rispetto ad altri investimenti in portafoglio, diventando una parte sempre più preponderante dell’insieme. Questo è ciò che si verifica in molti portafogli al giorno d’oggi, specialmente in quelli a gestione passiva.

In anni recenti, il mercato azionario statunitense ha mostrato un andamento ben sostenuto. Tuttavia, all’aumentare della concentrazione di mercato (cfr. Grafico), questa performance robusta è stata alimentata principalmente dalla leadership di una ristretta cerchia di aziende. Negli ultimi anni i cinque maggiori titoli azionari statunitensi sono diventati una parte sempre più consistente del mercato complessivo, raddoppiando la loro quota dall’11% nel 2017 al 22% nel 2020.

Nei benchmark delle azioni growth, che assegnano un peso maggiore alle società a mega capitalizzazione, la concentrazione è ancora più pronunciata. Alla fine di marzo, i primi cinque titoli nel Russell 1000 Growth Index rappresentavano il 36% dell’indice. A complicare ulteriormente le cose, il fatto che oltre a costituire una quota crescente del mercato, queste imprese presentano performance altamente correlate. In altre parole, questi cinque titoli tendono a salire insieme e, cosa più preoccupante, a scendere insieme.

In conseguenza della crescente concentrazione del mercato, i fondi passivi hanno un’esposizione sproporzionata a questi titoli, il che si traduce in portafogli sbilanciati. Investire in modo preponderante in azioni che continuano a fornire risultati positivi non è necessariamente un male. Tuttavia, la performance di un portafoglio non diversificato può cogliere gli investitori impreparati quando cambia il vento.

Per quanto nessuno sia in grado di prevedere i tempi di un’inversione di tendenza a lungo termine sui mercati, tra la fine del 2020 e il primo trimestre 2021 il ruolo dominante dei cinque maggiori titoli statunitensi dell’indice S&P 500 è diminuito notevolmente (cfr. Grafico). Al contempo, si sono registrati segnali di miglioramento per i gestori attivi. Nei primi tre mesi del 2021, la percentuale di portafogli statunitensi a gestione attiva che ha sovraperformato il benchmark ha superato le medie del 2020 in sei categorie di stile Morningstar su nove.

Quanto è precaria la situazione? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare i fattori comuni alla base del successo collettivo (e della correlazione) delle azioni leader di oggi, vale a dire i tassi sempre più bassi e i modelli di business basati su piattaforme con effetti di rete e dinamiche competitive che premiano un unico vincitore. Questi peculiari modelli di business hanno prodotto un circolo virtuoso di crescita dimensionale e risorse sempre maggiori per operazioni di M&A. Alcuni segnali sembrano indicare un punto di svolta all’orizzonte, che potrebbe creare problemi per i portafogli passivi altamente concentrati.

Il rialzo dei tassi chiude il rubinetto della crescita

La Fed ha mantenuto i tassi d’interesse vicino allo zero durante la pandemia per sostenere l’economia e favorire la ripresa. Con il rimbalzo dell’attività economica, tuttavia, i tassi a lungo termine sono destinati ad aumentare. E in effetti, il rialzo dei tassi è già cominciato: il rendimento del Treasury USA a 10 anni è salito di 72 pb dall’inizio di quest’anno alla fine di aprile. Le azioni di recente successo potrebbero essere particolarmente vulnerabili a questo sviluppo.

I tassi contenuti sono generalmente un bene per tutti i titoli azionari, ma lo sono in modo particolare per quelli in forte crescita. Il valore di un titolo azionario, infatti, è determinato dal valore attuale dei suoi cash flow futuri. Dato che le società con una rapida crescita degli utili dipendono dai cash flow generati più avanti nel futuro, una diminuzione del tasso di sconto avvantaggia le azioni growth in misura maggiore. Tuttavia, è vero anche il contrario. In altre parole, quando i tassi d’interesse aumentano, il valore attuale di questi cash flow diminuisce.

I colossi tecnologici, oggetto di posizioni affollate, non sono gli unici titoli vulnerabili ad un aumento dei tassi. Anche altre parti del portafoglio potrebbero celare un’esposizione inconsapevole alla sensibilità ai tassi d’interesse. Un esame dell’S&P 500 rivela che l’indice è costituito da una quota storicamente elevata di imprese le cui azioni salgono quando i tassi scendono e scendono quando i tassi salgono (cfr. Grafico). Un aumento dei tassi potrebbe causare una flessione inattesa dei titoli che dipendono da un basso livello dei tassi. I portafogli con un’elevata concentrazione su questi titoli, come le strategie passive su indici, potrebbero andare incontro a un brusco risveglio.

Nel mirino della regolamentazione

L’aumento dei tassi non è l’unico problema. Le società tecnologiche a più alta capitalizzazione hanno cavalcato l’onda che ne ha spinto i titoli al rialzo, ma ora rischiano di diventare vittime del loro stesso successo. A causa delle loro dimensioni, queste imprese sono finite nel mirino della regolamentazione, poiché i legislatori temono che i poteri monopolistici soffochino la concorrenza e concentrino il potere nelle mani di pochi. Lo scorso ottobre, ad esempio, il Congresso degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto sui grandi monopoli tecnologici in cui si chiedeva il rafforzamento delle leggi antitrust e l’adozione di nuove norme per ridurre il potere delle imprese dominanti. Il rapporto si è concentrato proprio sulle società che hanno spinto il mercato verso nuovi massimi. Non è detto, però, che la regolamentazione abbia un impatto negativo sul valore di tutte queste aziende.

Proprio come la sensibilità ai tassi d’interesse differisce da un’impresa all’altra, così la regolamentazione non colpirebbe ogni singolo colosso tecnologico allo stesso modo. Ad esempio, società che hanno adottato una strategia di espansione basata sulle acquisizioni potrebbero essere notevolmente penalizzate dal rigore normativo. La crescita organica sarebbe probabilmente insufficiente per mantenere la traiettoria di espansione storica di questi colossi. Eventuali restrizioni alle operazioni di M&A ridurrebbero il loro potenziale di crescita e limiterebbero la loro capacità di impiegare il capitale e incrementare i rendimenti. I gestori attivi possono soppesare questo rischio e posizionare i loro portafogli per ridurre l’esposizione a determinati titoli, mentre le strategie passive non avrebbero altra scelta che restare investite, ricevendo un potenziale contraccolpo lungo la strada.

Adattarsi attivamente al contesto

Una variazione dei tassi o un cambiamento della regolamentazione non segnala necessariamente un cambio di passo a lungo termine del mercato. Se anche sopraggiunge una svolta, inoltre, non tutte le aziende hanno la stessa sensibilità al cambiamento.

I fondi passivi non possono modulare le posizioni per riflettere questi rischi. I gestori attivi, invece, possono far leva sulle differenze più sottili tra le aziende, sovrappesando, sottopesando o semplicemente rinunciando a investire in una componente dell’indice. Se le imprese dominanti degli ultimi anni si trovano ad affrontare nuove minacce e le fonti di rendimento di mercato aumentano, i portafogli selettivi ad alta convinzione potrebbero riuscire meglio di altri a produrre risultati di successo per gli investitori.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, e non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB; tali opinioni sono soggette a revisione nel corso del tempo.