Titoli corporate in crisi con il rallentamento della crescita?

23 giugno 2022
6 min read

Di fronte agli aumenti dei tassi decisi dalle banche centrali per raffreddare le pressioni sui prezzi, l’attenzione degli investitori si sta spostando dall’inflazione galoppante alla decelerazione della crescita globale. Storicamente, la solvibilità dei debitori si è deteriorata in fretta nelle situazioni di rallentamento della crescita. Dobbiamo dedurne quindi che gli investitori dovrebbero prepararsi a un’ondata di declassamenti e default tra gli emittenti corporate? Secondo noi no.

Questa volta è diverso (sul serio)

In primo luogo, non ci aspettiamo una recessione. Crediamo che le banche centrali riusciranno nella difficile impresa di contenere l’inflazione senza provocare una brusca contrazione delle loro economie. In secondo luogo, anche in caso di recessione, gli emittenti corporate dovrebbero dar prova di buona tenuta.

In genere, un brusco rallentamento o una recessione si ripercuotono negativamente sulle imprese, che possono stentare a ottenere finanziamenti adeguati e a basso costo, a causa dell’inasprimento delle condizioni creditizie e della decelerazione della domanda. Questa difficoltà dipende in gran parte dall’affidabilità creditizia di un’azienda all’inizio del rallentamento; in altre parole, un’impresa già oberata di debiti si troverà nei problemi molto velocemente una volta chiusi i rubinetti del credito.

Tuttavia, gli emittenti di obbligazioni corporate godono oggi di condizioni finanziarie di gran lunga migliori di quelle presentate dai loro omologhi alla vigilia delle recessioni passate, anche grazie alla lunga fase di incertezza che ha accompagnato la pandemia di coronavirus. Questa incertezza ha spinto le aziende a gestire bilanci e liquidità in modo prudente negli ultimi due anni, anche a fronte di una risalita delle vendite e degli utili.

Di conseguenza, sia in Europa che negli Stati Uniti si è registrato un miglioramento degli indici di leva e di copertura, come pure dei free cash flow e dei margini, degli emittenti high yield e investment grade. Per confermare questi dati, abbiamo condotto un’approfondita analisi storica “a universo costante” del mercato delle obbligazioni corporate investment grade statunitensi, modificando il nostro universo di emittenti per eliminare distorsioni quali il bias della sopravvivenza, cambiamenti della composizione e così via.

Il risultato di questo esercizio è un “universo costante” che mostra il calo degli indici di leva e l’aumento degli indici di copertura negli ultimi 12 mesi, rispetto al baratro della pandemia di COVID-19 all’inizio del 2020 (cfr. Grafico).



Grazie alla relativa solidità dei bilanci, gli emittenti corporate sono in grado di sopportare maggiori pressioni in caso di rallentamento della crescita e della domanda.

Default e declassamenti appartengono al passato

La gestione prudente dei bilanci non è l’unico motivo per cui l’universo corporate è ben posizionato per affrontare una tempesta. Il ciclo di default innescato dalla pandemia, con un picco di insolvenze del 6,3% nell’ottobre 2020, ha di fatto ripulito il settore. Le società più deboli al tempo sono andate in default e ora non rientrano più nell’universo d’investimento. A sopravvivere sono state le imprese più forti.

Tutto questo è accaduto meno di due anni fa, e da allora le società sopravvissute non hanno avuto abbastanza tempo per sviluppare abitudini finanziarie incaute. Di conseguenza, ci aspettiamo che il tasso di default rimanga contenuto per tutto il 2022, attestandosi intorno all’1% in Europa e tra l’1% e il 2% negli Stati Uniti, anche nel caso di una recessione (cfr. Grafico).



La recente ondata di default e declassamenti ha inoltre rafforzato la qualità del mercato high yield. Mentre molte obbligazioni high yield a basso rating sono andate in default e sono uscite dagli indici, diverse obbligazioni investment grade nella fascia inferiore di rating sono entrate nel mercato high yield come “fallen angel”. Oggi il mercato high yield si caratterizza per la qualità migliore da oltre un decennio.

Questo vale anche per molti settori in difficoltà, come l’energia, le vendite al dettaglio e le telecomunicazioni, che sono stati bonificati durante l’ultima contrazione e oggi costituiscono una quota minore del mercato, ma di qualità più elevata.

Il rischio di M&A è modesto

Nelle fasi di espansione, le aziende spesso contraggono ulteriori debiti per finanziare fusioni e acquisizioni (M&A) o incrementare le distribuzioni agli azionisti. Appena il ciclo entra nella fase discendente, queste imprese possono ritrovarsi con troppo debito o poca liquidità, rischiando di conseguenza un declassamento del rating e un default.

Oggi però le aziende sono poco propense a contrarre prestiti per finanziare operazioni di M&A. In effetti, ci sono i margini per un aumento di tale propensione, senza che questo si ripercuota sui rating.

Per valutare la propensione delle imprese all’indebitamento, classifichiamo le politiche finanziarie come prudenti, neutrali o aggressive. Secondo la nostra analisi, le politiche finanziarie sono attualmente prudenti nella metà dei settori investment grade e neutrali nell’altra metà. Questo vale in genere anche per il mercato high yield, fatta eccezione per un settore, quello tecnologico, che classifichiamo come aggressivo.

Nel complesso, è probabile che le politiche finanziarie diventino più aggressive nei prossimi 12 mesi, ma i nostri rating prospettici sono stabili per oltre la metà degli emittenti investment grade e ci aspettiamo che i miglioramenti dei profili creditizi superino i deterioramenti in tutti i settori investment grade e high yield. Questa previsione si pone in continuità con una tendenza recente: nel primo trimestre i miglioramenti dei rating hanno superato i declassamenti di 3,3 a 1.

Ciò non esclude che i fondi di private equity con ampie disponibilità di cassa possano effettuare operazioni di leveraged buyout, ma per il momento le prospettive favorevoli per i fondamentali societari superano i rischi di un releveraging tramite questi acquirenti non strategici. Inoltre, anche laddove si è registrata un’attività di private equity, l’impatto sulle metriche del mercato obbligazionario è stato modesto.

Nessun “maturity wall” nell’immediato

Oltre a questo, dall’inizio della pandemia le imprese sono impegnate ad allungare le proprie scadenze. Di conseguenza, non si prospetta a breve alcun “maturity wall”, una situazione in cui una grossa parte delle emissioni obbligazionarie giunge a scadenza e gli emittenti sono costretti a contrarre nuovi debiti ai nuovi tassi. In effetti, entro la fine del 2025 arriverà a scadenza solo il 20% del mercato, mentre la maggior parte delle emissioni scadrà tra il 2026 e il 2029.

L’effetto è simile a quello di aprire una valvola di sfiato all’aumentare dei rendimenti, perché le scadenze graduali e prolungate attenuano l’impatto del rialzo dei rendimenti sulle imprese (cfr. Grafico). Oggi la cedola media nel mercato high yield è pari al 5,7%, un livello nettamente inferiore all’attuale yield-to-worst (YTW). Anche ipotizzando che i rendimenti continuino a salire e che rimangano elevati per i prossimi quattro anni, l’allungamento delle scadenze implica che i tassi cedolari non torneranno ai livelli pre-COVID, superiori al 6%, prima del gennaio 2026.



In altre parole, le imprese godranno di cedole contenute per molti anni a venire, anche se i rendimenti rimarranno elevati per parecchio tempo.

Segnali positivi

In breve, i fondamentali non sono mai stati così robusti alla vigilia di un rallentamento economico. I bilanci sono solidi, i free cash flow sono in espansione, la redditività è in aumento, le politiche finanziarie delle imprese sono relativamente prudenti e la maggior parte degli emittenti ha allungato le proprie scadenze.

Al tempo stesso, le valutazioni sono molto più interessanti rispetto a pochi mesi fa. Rendimenti e spread si collocano su massimi pluriennali; le obbligazioni corporate investment grade europee offrono in media rendimenti superiori di 200 punti base al livello di agosto 2021, quando metà dell’indice presentava rendimenti negativi. In soli quattro mesi i rendimenti dei titoli corporate investment grade statunitensi sono passati dal 13° al 99° percentile se considerati in un orizzonte di 10 anni.

Inoltre, anche qualora i rendimenti e gli spread evidenziassero un andamento volatile per il resto dell’anno, come prevediamo, la storia insegna che lo yield-to-worst del mercati high yield tende ad essere un eccellente indicatore della performance media nei cinque anni successivi, grazie al reddito elevato e regolare del settore.

Infine, molti investitori rimangono in disparte, avendo sottopesato per anni l’obbligazionario nelle loro asset allocation a causa dei rendimenti eccezionalmente bassi. Di conseguenza, le obbligazioni corporate potrebbero andare incontro a un rally dettato da fattori tecnici, in quanto i fondamentali solidi e i rendimenti molto più elevati potrebbero richiamare gli investitori nel mercato.

A nostro avviso, molti farebbero bene a cogliere quest’occasione al balzo: raramente abbiamo visto un momento migliore per investire nel credito corporate investment grade o high yield.

Gli autori ringraziano Nicholas Stern per il prezioso contributo a questo articolo.

Le opinioni espresse nel presente documento non costituiscono ricerca, consulenza di investimento o raccomandazioni di acquisto o di vendita, e non rappresentano necessariamente le opinioni di tutti i team di gestione di AB; tali opinioni sono soggette a revisione nel corso del tempo.