Outlook azionario: trovare le azioni giuste per un mondo che cambia

03 gennaio 2023
10 min read

Per 40 anni i rendimenti azionari sono stati tenuti a galla dal costante calo di inflazione e tassi d’interesse. Lo scorso anno, però, la situazione è bruscamente cambiata. Gli investitori devono ormai adattarsi a un nuovo contesto macro e di mercato: per raggiungere i propri obiettivi di lungo periodo occorre un nuovo modo di pensare.

Quando nel 2022 il genio dell’inflazione è uscito dalla lampada, gli investitori azionari hanno comprensibilmente iniziato a temere per il futuro. Gli aggressivi rialzi dei tassi messi in atto dalle principali banche centrali hanno segnato la fine di un’epoca caratterizzata da tassi d’interesse vicini allo zero. Il denaro, dunque, tornerà ad avere un costo, con profonde conseguenze per le dinamiche commerciali, la redditività aziendale e i rendimenti delle diverse asset class. 

Nel 2023 gli investitori si troveranno a muovere i primi passi in questa nuova realtà. Per farlo con successo dovranno riuscire a distinguere le recenti turbolenze di mercato dal cambio di regime che potrebbe ridefinire il mondo degli investimenti negli anni a venire. Facendo i conti con questo nuovo contesto possiamo iniziare a riaffermare il ruolo strategico che dovrebbe essere svolto dai titoli azionari come fonte essenziale di rendimenti reali per il futuro. 

Un 2022 con poche aree in cui rifugiarsi

Nel 2022 le condizioni di mercato sono state traumatiche, con un calo per le azioni in molte aree geografiche pari a oltre il 20% nel corso dell’anno. Nonostante il parziale recupero nel quarto trimestre, la fine dell’anno è stata caratterizzata da una persistente incertezza. È ancora troppo presto per dire se la ripresa del quarto trimestre abbia segnato un’autentica svolta positiva oppure se si sia trattato di un rimbalzo del mercato ribassista destinato ad affievolirsi in caso di recessione economica o di utili annui deludenti. 

Nel corso dell’anno l’indice MSCI World ha perso il 16,0% in valuta locale, dopo il +7,5% messo a segno nel quarto trimestre. I titoli azionari USA sono stati particolarmente penalizzati, trascinati verso il basso dal crollo dei titoli tecnologici. I mercati emergenti, dal canto loro, hanno risentito della debolezza cinese. Il Giappone è riuscito in qualche modo a resistere all’inflazione chiudendo l’anno in leggera perdita. Infine, la resilienza relativa esibita dal Regno Unito, a dispetto di condizioni macroeconomiche particolarmente complesse, è stata favorita dall’ampia platea di aziende esportatrici, che hanno beneficiato di un dollaro USA forte, e società del settore energia. 

Il crollo dei titoli azionari globali sulla scia dell’incertezza rispetto al nuovo regime per gli investimenti
Il crollo dei titoli azionari globali sulla scia dell’incertezza rispetto al nuovo regime per gli investimenti

Le performance passate e l’analisi attuale non sono garanzia di risultati futuri.
*Regno Unito rappresentato da FTSE All-Share, Australia da S&P/ASX 300, Giappone da TOPIX, Europa escl. Regno Unito da MSCI Europe ex UK, mercati emergenti da MSCI Emerging Markets, large cap USA da S&P 500, small cap USA da Russell 2000 e Cina (titoli onshore) da MSCI China A. 
Al 31 dicembre 2022
Fonte: Bloomberg, FactSet, FTSE Russell, MSCI, Nasdaq, S&P, Tokyo Stock Exchange e AllianceBernstein (AB)

Hanno perso terreno tutti i settori salvo quello dell'energia, favorito dai rincari di petrolio e gas in seguito al taglio delle forniture da parte della Russia. I titoli dei comparti tecnologia, comunicazione e beni di consumo discrezionali hanno sottoperformato, mentre le azioni value e quelle a bassa volatilità hanno ampiamente sovraperformato quelle growth.

Nel 2022 quasi tutti i settori hanno perso terreno, mentre i titoli value e quelli a bassa volatilità hanno battuto quelli growth
Nel 2022 quasi tutti i settori hanno perso terreno, mentre i titoli value e quelli a bassa volatilità hanno battuto quelli growth

Le performance passate e l’analisi attuale non sono garanzia di risultati futuri.
*In base agli indici MSCI World Value, MSCI World Minimum Volatility e MSCI World Growth
Al 31 dicembre 2022
Fonte: FactSet, MSCI e AB

Nel 2022 la narrativa è stata dominata dall’incremento di inflazione e tassi e dai timori per la crescita. Le preoccupazioni degli investitori sono state alimentate anche dall’invasione russa dell’Ucraina, a causa della quale il rischio geopolitico è divenuto una minaccia per la stabilità globale, la sicurezza energetica dell’Europa e l’integrità delle catene di approvvigionamento.

Si registrano tuttavia delle differenze tra un’area geografica e l’altra. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha guidato la lotta all’inflazione mettendo in atto svariati rialzi aggressivi dei tassi. Gli sforzi delle autorità europee per combattere l’inflazione, invece, sono stati resi più complessi dalla crisi energetica. In Giappone l’inflazione è rimasta bassa, così come i tassi d’interesse. In Cina le politiche “zero COVID” hanno gravato notevolmente sulle attività economiche fino a che il governo ha iniziato a riaprire l’economia sulla scia del malcontento pubblico.

Guardare al di là delle recenti turbolenze 

A nostro avviso, l’estrema volatilità dello scorso anno è dipesa dall’altrettanto estrema incertezza sull’entità dell’inflazione e dei rialzi dei tassi e sulle conseguenze dirette di tali mutamenti per le imprese. È difficile concentrarsi su un punto d’arrivo lontano quando sulla strada di fronte a sé infuria una tempesta.

Dato che occorre tempo affinché le politiche monetarie producano i propri effetti sull’economia, le prospettive di breve periodo sono ancora poco chiare. Stiamo tuttavia assistendo a segnali di una possibile moderazione dell’inflazione, dal calo dei costi di trasporto a quello dei prezzi delle materie prime. Negli Stati Uniti la crescita delle vendite al dettaglio è rallentata, mentre il mercato immobiliare residenziale si è raffreddato. Sebbene le pressioni sui salari rimangano elevate, a nostro giudizio l’inflazione potrebbe aver superato il proprio picco, spingendo probabilmente le banche centrali a diminuire il ritmo dei rialzi dei tassi per scongiurare rallentamenti più marcati o una recessione.

La stabilizzazione dell’inflazione può aiutare gli investitori a concentrarsi nuovamente sui fondamentali. Nel 2023, con il reset degli utili, ciò sarà cruciale. Consumatori e imprese si stanno ancora adattando a queste condizioni in via di evoluzione.

Negli ultimi decenni le aziende hanno goduto di politiche favorevoli che hanno trasformato il ciclo economico: gli investitori si sono abituati a periodi più lunghi di crescita economica interrotti da recessioni molto più brevi (v. grafico). È troppo presto per dire se il ciclo economico tornerà ad accorciarsi. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che l’aumento dei tassi d’interesse e l’interruzione del sostegno monetario metteranno a dura prova la crescita economica e la redditività. 

Il ciclo economico continuerà a durare così tanto?
Il ciclo economico continuerà a durare così tanto?

L’analisi storica non è garanzia di risultati futuri.
Al 30 novembre 2022
Fonte: National Bureau of Economic Research e AllianceBernstein (AB)

Cambio di regime: il ritorno dell’inflazione

Questi mutamenti potrebbero rivelarsi storici. Riteniamo probabile che le convulsioni del mercato dello scorso anno abbiano segnato la travagliata nascita di un nuovo regime caratterizzato da tassi d’interesse e da un’inflazione persistentemente più elevati e da rendimenti di mercato potenzialmente più bassi. Gli investitori dovranno ripensare a come posizionare i propri portafogli e le proprie allocation per generare rendimenti reali al di sopra del tasso d’inflazione. 

Ma come siamo arrivati fino a questo punto?

Dagli anni '80 in poi l’economia e i mercati globali sono stati caratterizzati dal calo dell’inflazione e dei tassi d’interesse reali, provocato da fattori quali demografia, accelerazione della globalizzazione, progresso tecnologico e adozione di valori pro-azionisti nei mercati sviluppati. 

La globalizzazione delle catene di approvvigionamento è stata favorita dalla crescente integrazione della Cina nell’economia mondiale. Le aziende di tutto il mondo hanno iniziato ad attingere alla forza lavoro e alla capacità manifatturiera a basso costo cinesi, che hanno reso possibile una produzione di beni a minor costo in molti settori. Fattori demografici positivi hanno contribuito a un’espansione della forza lavoro globale fino a livelli record. La rivoluzione tecnologica ha determinato un forte aumento della produttività e della redditività aziendale. L’operato dei governi e delle autorità monetarie occidentali, al contempo, è divenuto sempre più favorevole nei confronti del valore per gli azionisti. Inflazione e tassi d’interesse sono gradualmente calati. 

Quando si sono verificate delle calamità le reazioni politiche hanno spesso rafforzato questi trend. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, ad esempio, la crescita anemica registrata negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone ha portato al quantitative easing (QE) e a tassi d’interesse ultrabassi. Eppure l’inflazione non arrivava mai, creando la convinzione sempre più salda che fosse stata sconfitta per sempre. 

Le politiche pandemiche: un punto di svolta

Le misure adottate nel corso della pandemia di coronavirus sono state guidate proprio da questa convinzione: le banche centrali hanno infatti spinto al ribasso i tassi d’interesse fino ai loro minimi storici accelerando inoltre il QE. I governi hanno varato pacchetti di bilancio colossali per aiutare le economie a rimanere a galla nel corso del massiccio shock subito dalle attività commerciali. 

Quei giorni, però, sono ormai finiti. Quando verrà scritta la storia economica della pandemia, questa sarà vista come il catalizzatore di cambiamenti che covavano sotto la superficie da anni. La globalizzazione era già minacciata dal populismo, mentre la forza lavoro cinese invecchiava. Oggi imponenti iniezioni di capitali nei mercati finanziari e interruzioni senza precedenti delle catene di approvvigionamento hanno spinto le pressioni inflazionistiche fino a un punto di rottura. 

Redditività sotto pressione 

Il mutamento delle forze inflazionistiche influisce sulla redditività in diversi modi. La globalizzazione delle catene di approvvigionamento consentiva alle imprese di tenere minori scorte. Il ridotto costo del lavoro aiutava a mantenere sotto controllo le spese, mentre il carico fiscale era contenuto. Si trattava della ricetta perfetta per un forte incremento dei margini (e dei rendimenti) da parte delle società, spesso in assenza di solidi fondamentali aziendali sottostanti. 

Le imprese dovranno imparare a vivere senza tali fattori di sostegno. Un aumento delle imposte sulle aziende è molto probabile man mano che la deglobalizzazione renderà loro più arduo operare nei Paesi più efficienti sotto il profilo fiscale e con la sempre maggiore diffusione delle campagne a favore della giustizia sociale. La deglobalizzazione renderà necessari livelli di scorte più elevati, fattore che secondo le nostre ricerche tende a determinare una riduzione dei margini di profitto. L’aumento del potere contrattuale dei lavoratori indica che nel prossimo futuro il costo del lavoro è destinato a rimanere elevato. La transizione energetica, al contempo, aggiunge ingredienti al mix inflazionistico destinati anch’essi a erodere la redditività. A giugno 2022 la quota del PIL USA rappresentata dai profitti aziendali ammontava al valore quasi record del 12,2%, che appare ormai insostenibile.

Di sicuro, tuttavia, ci sono forti venti che vanno in direzione opposta, prima di tutto tecnologia e innovazione. La robotica, l’internet delle cose e le infrastrutture ad alto contenuto tecnologico renderanno possibili efficienze che, a loro volta, aiuteranno a tenere sotto controllo i costi. Le aziende innovative che faranno ricorso a tali tecnologie prima dei propri concorrenti godranno di un vantaggio competitivo.  

Oggi i mercati appaiono molto diversi

La storia potrebbe non essere una buona guida per il futuro che ci aspetta; i mercati di oggi appaiono molto diversi da quelli dei decenni inflazionistici degli anni ‘70 e ’80. Dal 1980 a oggi, ad esempio, la ponderazione dei titoli tecnologici nell’indice MSCI World è più che triplicata, ammontando oggi al 24% (v. grafico). Molti dei giganti tecnologici e dei nuovi media non esistevano l’ultima volta che abbiamo dovuto fare i conti con l’inflazione, quindi non sappiamo come se la caveranno. Il predominio delle imprese energetiche negli indici azionari globali e statunitensi è venuto meno. Proprio come le aziende più potenti di ieri non sono più tali, a nostro avviso i vincitori di domani potrebbero essere molto diversi da quelli del passato recente e più distante. 

Negli ultimi quattro decenni la composizione dei settori di mercato è cambiata drasticamente
Negli ultimi quattro decenni la composizione dei settori di mercato è cambiata drasticamente

La performance passata non costituisce garanzia di risultati futuri
In base a classificazioni dei settori Bernstein.
Ponderazioni settori 1980 al 1° gennaio 1980. Ponderazioni settori 2022 al 1° dicembre 2022
Fonte: Compustat, MSCI, S&P, Worldscope e AB

I portafogli passivi potrebbero risultare svantaggiati in uno scenario come questo, destinato a nostro avviso a dare luogo a performance più variegate all’interno delle varie asset class. Riteniamo che le attuali condizioni si riveleranno ottime per quei gestori attivi esperti che sanno come individuare le aziende con il modello di business giusto per riuscire a prosperare nel nuovo contesto commerciale.

Al di là del quale, però, non mancano i rischi esogeni. Dalla geopolitica alle criptovalute, dalla vulnerabilità dei mercati privati ai problemi di liquidità, il percorso è disseminato di ostacoli in grado di far deragliare anche il piano di investimento meglio concepito. Non è in alcun modo possibile isolare totalmente il portafoglio da questi rischi.

Tuttavia, a nostro giudizio, individuare aziende con business di qualità può aiutare a posizionarlo in modo tale da acquisire resilienza a lungo termine. A definire le società in grado di superare le insidie per la redditività create da inflazione e aumento dei tassi d’interesse saranno caratteristiche quali potere di determinazione dei prezzi, vantaggi competitivi, innovazione e abilità nella gestione. A nostro parere anche le imprese che godono di trend di crescita a lungo termine, le cui sorti non dipendono dal ciclo economico a breve termine, sono verosimilmente favorite. Quelle che forniscono soluzioni all’inflazione strutturale tramite automazione e tecnologia dovrebbero anch’esse cavarsela bene.

I titoli azionari sono vitali per i rendimenti reali 

Perché, tuttavia, gli investitori dovrebbero voler investire in azioni in un mondo caratterizzato da un’inflazione più elevata, da una minore crescita e da una maggiore volatilità? In fin dei conti l’incremento dei tassi d’interesse rende anche gli asset a reddito fisso più interessanti. E anche se l’inflazione si stabilizzasse in un intervallo compreso tra il 3 e il 4%, l’hurdle rate (il tasso minimo di rendimento richiesto ad un investimento) per conseguire rendimenti reali positivi risulterebbe ancor più elevato. 

La nostra risposta è che agli investitori occorrono i rendimenti azionari per battere l’inflazione. In passato l’azionario ha registrato buone performance in periodi di inflazione moderata; perciò, ritenendo che gli attuali livelli estremi di inflazione si riveleranno transitori, le azioni offrono a nostro avviso un solido potenziale di rendimento. Gli asset dotati esplicitamente di protezioni dall’inflazione come le TIPS non forniranno a molti investitori i livelli di rendimento di cui hanno bisogno per raggiungere i propri obiettivi. Mentre le aziende ben posizionate per affrontare un contesto inflazionistico possono generare flussi di cassa in grado di favorire rendimenti azionari reali positivi nel corso del tempo. Eppure, poiché dall’ultima volta che abbiamo avuto a che fare con l’inflazione il mercato è decisamente cambiato, per individuare società con le caratteristiche giuste per prosperare servirà un approccio attivo. I seguenti principi possono aiutare a trovare la strada giusta: 

  1. Le azioni USA tendono a offrire utili resilienti. Sebbene lo scorso anno sia stato negativo per il mercato azionario, caratterizzato da una forte presenza dei titoli tecnologici, riteniamo che le condizioni sottostanti rendano le azioni USA una fonte primaria di crescita degli utili in contesti macro difficili, nonché essenziali per qualsiasi allocation azionaria. Ma le società e i settori che guideranno la prossima ripresa potrebbero non essere gli stessi del passato: i portafogli incentrati sugli Stati Uniti, dunque, vanno adeguati di conseguenza.
  2. È possibile trovare potenziale di rendimento in tutto il mondo, anche nei mercati più deboli. Le allocazioni azionarie globali non dovrebbero dipendere dalle condizioni macro delle singole economie. Per scovare le fonti di crescita a lungo termine più promettenti gli investitori dovrebbero guardare al di là dei Paesi di origine delle aziende. Perfino in Europa, alle prese con sfide macroeconomiche particolarmente pressanti, determinate società godranno di dinamiche settoriali e valutarie favorevoli. La riapertura della Cina potrebbe innescare un rilancio dell’economia, creando opportunità diverse da quelle offerte da altre aree del mondo. 
  3. La qualità è un fattore importante indipendentemente dallo stile. Le caratteristiche specifiche possono variare in base allo stile e alla filosofia del portafoglio. Ma per cogliere rendimenti reali potenziali in un contesto più difficile, a nostro giudizio, un focus sulla qualità può fornire un ancoraggio fondamentale verso il successo alle azioni growth, value e a bassa volatilità. 

Seguire queste linee guida può aiutare gli investitori a definire al meglio la loro esposizione azionaria in base alle diverse propensioni al rischio e ai propri obiettivi di rendimento. Man mano che le nuove dinamiche con cui dovranno fare i conti imprese e portafogli diverranno più chiare potremo trovare nuovi modi di trasformare gli ostacoli in opportunità di investimento. 

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