Passato e futuro

decenni movimentati per i mercati emergenti

22 luglio 2021
6 min read

Dopo la trasformazione dell’ultimo decennio, prevediamo che i mercati emergenti rimarranno dinamici anche nei prossimi dieci anni. Per gli investitori che mirano a cogliere opportunità in diverse asset class, c’è una storia che rimarrà sempre valida.

Nel 2010 il 68% delle società incluse nella classifica Global 500 di Fortune Magazine aveva sede nei paesi del gruppo dei sette (G7), contro il 17% domiciliato nei paesi emergenti (EM) del gruppo E20*. Alla fine del 2020, la percentuale di imprese dell’E20 era quasi raddoppiata al 34%. Inoltre, nella classifica Global 500 figuravano 124 aziende domiciliate in Cina, con gli Stati Uniti al secondo posto.

Si è trattato di un decennio molto favorevole per le imprese emergenti e alquanto movimentato per i mercati emergenti più in generale. In un periodo compreso approssimativamente tra la ripresa dalla crisi finanziaria globale e la pandemia di COVID-19, si sono registrati anni favorevoli e anni sfavorevoli che hanno costretto gli investitori multi-asset a gestire la volatilità, cogliendo al contempo le opportunità che si presentavano.

Molti titoli sono saliti agli onori delle cronache negli ultimi dieci anni, ma i trend a più lento svolgimento potrebbero aver avuto un impatto ancora maggiore. Ci concentreremo su due di essi: la relazione tra crescita economica e valutazioni e il passaggio dalla centralità delle materie prime alla centralità della tecnologia. Evidenzieremo anche due tendenze fondamentali che ci aspettiamo di osservare nel prossimo decennio e una storia che a nostro avviso rimarrà sempre valida.

Disallineamento tra crescita economica e valutazioni azionarie

Gli anni dal 2011 al 2020 sono stati caratterizzati da una robusta espansione delle economie emergenti, con una crescita media del prodotto interno lordo (PIL) reale del 4,1% annuo, nettamente superiore all’1,5% dei mercati sviluppati; si tratta di un trend che dovrebbe proseguire (cfr. Grafico). In testa alla coorte dei paesi più grandi troviamo la Cina, ma anche molti paesi di minori dimensioni – tra cui Vietnam, Turchia, Costa d’Avorio e Repubblica Dominicana – hanno ottenuto tassi di crescita superiori alla media.

L’espansione economica ha sostenuto le entrate pubbliche, i fondamentali e l’affidabilità creditizia. Tutto ciò ha trovato riflesso in ottime performance del credito; questo non stupisce, considerando gli ottimi tassi di crescita e il calo dei tassi d’interesse a livello globale. Molti paesi caratterizzati da una crescita particolarmente robusta, e quindi da un marcato miglioramento del credito, come la Costa d’Avorio e la Repubblica Dominicana, erano accessibili solo agli investitori obbligazionari.

A destare stupore potrebbe essere il fatto che i rendimenti azionari complessivi non sono stati particolarmente brillanti. Storicamente, i rendimenti azionari superano di norma quelli obbligazionari, specialmente nelle fasi di crescita vivace. Come si spiega dunque questa differenza? A nostro avviso, è tutta una questione di crescita degli utili e di valutazioni. Alcune imprese hanno certamente brillato, in particolare i leader tecnologici globali innovativi: negli ultimi dieci anni gli utili per azione (EPS) di Tencent sono passati da 1,05 a 14,82 e quelli di Samsung Electronics da 1.660 a 5.778.

Gli indici azionari dei mercati emergenti, tuttavia, includono anche una serie di società meno competitive, molte pesantemente influenzate dal controllo statale o dalle autorità di regolamentazione. Queste componenti hanno abbassato la crescita complessiva dell’EPS al 5% (totale, non annualizzato) a fronte del 104% dell’S&P 500. Di conseguenza, la domanda degli investitori non ha spinto al rialzo le valutazioni complessive delle azioni emergenti (passate da 10,2x nel 2011 a 14,2x oggi) tanto quanto negli Stati Uniti, dove l’EPS dell’S&P 500 è salito da 13,5x a 22,6x.

Pertanto, la crescita ha la sua importanza, ma in modi diversi per l’azionario e l’obbligazionario dei mercati emergenti. Gli investitori azionari hanno bisogno di trovare le aziende in grado di assicurare la maggiore crescita degli utili; gli investitori nel debito sovrano privilegiano i paesi protagonisti di riforme che rafforzano il credito e che favoriscono una crescita economica più elevata e sostenibile. Per gli investitori multi-asset, entrambe le traiettorie sono importanti al fine di cogliere le opportunità più remunerative.

La grande transizione dalle materie prime alla tecnologia

Una decina di anni fa gli indici azionari emergenti riflettevano i settori tipicamente associati alle economie meno sviluppate, fortemente dipendenti dalle risorse naturali. I pesi massimi degli indici erano spesso emittenti del comparto delle risorse naturali, che avevano bisogno di capitale per crescere, comprese le imprese energetiche e minerarie. Anche le banche e le telecomunicazioni avevano una presenza significativa negli indici.

Un decennio dopo, a dominare gli indici azionari emergenti sono la tecnologia e l’innovazione, compresi molti leader di mercato globale (cfr. Grafico). I titoli tecnologici, che appena dieci anni fa costituivano solo il 10% dell’MSCI EM Index, hanno oggi raddoppiato la loro quota al 20%. La percentuale effettiva è probabilmente più elevata, anche perché società come Tencent e Alibaba non sono ufficialmente classificate come imprese tecnologiche.

Il passaggio dalle risorse naturali alla tecnologia ha rappresentato un cambiamento radicale per gli indici azionari emergenti, e crea una serie di opportunità entusiasmanti molto diverse da quelle esistenti ai tempi del predominio di società come Gazprom e Petrobras.

Ripresa e uscita dal COVID-19

Nel prossimo decennio assisteremo a un’ulteriore trasformazione dei mercati emergenti, dopo quella osservata negli ultimi dieci anni. Un’importante dinamica a breve termine sarà il percorso di uscita dalla pandemia, che differirà da una nazione all’altra. La Cina, colpita per prima dal Covid-19, è stata anche il primo paese a uscirne in forte anticipo rispetto a molte economie occidentali. Taiwan ne è stata interessata a malapena, mentre l’India e il Brasile sono stati tra i paesi più colpiti. Così come i percorsi, variano anche i rischi e le opportunità.

A fronte della graduale riapertura delle economie mondiali, la domanda di capitale da parte delle imprese e la domanda di liquidità da parte dei governi dovrebbero spingere i flussi di capitali dagli Stati Uniti e dai primi paesi a riaprire verso altre regioni, compresi i mercati emergenti. Le imponenti politiche di stimolo delle banche centrali sono probabilmente destinate a continuare, mitigando i rischi economici. Inoltre, con lo sblocco delle attività impattate negativamente dalla pandemia, favorito dai vaccini, le imprese beneficeranno di un aumento della domanda nei mercati sia nazionali che esteri.

Ricerca di diversificazione delle filiere produttive

Un altro trend che dovrebbe prendere corpo nei prossimi cinque anni è l’accelerazione della diversificazione delle filiere produttive, spinta in parte dai timori per il rischio geopolitico. Oggi la maggior parte dei prodotti è costruita con componenti realizzati e provenienti da tutto il mondo, che si tratti di auto, computer, caffettiere o shampoo. Le imprese cercheranno di isolare queste filiere estremamente importanti da tensioni e conflitti.

Il blocco del canale di Suez dovuto a un incidente che ha coinvolto una nave porta container ha evidenziato che anche i rischi non geopolitici possono paralizzare le filiere produttive e assottigliare le già magre scorte. Riteniamo che le aziende dovrebbero rivalutare – e rivaluteranno – le operazioni esistenti, ponendo enfasi sulla costruzione di una maggiore resilienza per il futuro. In pratica, questa spinta si tradurrà plausibilmente nella costruzione di un maggior numero di impianti di produzione e nella costituzione di scorte in un maggior numero di luoghi.

I processi di approvvigionamento saranno influenzati anche dalla crescente attenzione rivolta ai comportamenti ambientali, sociali e di governance (ESG). Le violazioni dei diritti umani e il cambiamento climatico, ad esempio, sono diventati questioni pressanti, e le decisioni di allocazione del capitale a livello mondiale sono basate sempre più spesso su considerazioni ESG. Questo indurrà le imprese ad affrontare le problematiche ESG nelle loro filiere produttive, con l’impiego di nuovi capitali attirati da rendimenti potenziali più elevati.

Diversificazione e flessibilità ancora necessarie

Una storia che non dovrebbe perdere validità nel prossimo decennio è la necessità per gli investitori di integrare le esposizioni azionarie, obbligazionarie e valutarie in modo oculato. Con la giusta formula, gli investitori possono incrementare il potenziale di rendimento e la diversificazione, riducendo possibilmente l’impatto delle perdite in una società, settore o asset class.

Anche la flessibilità sarà necessaria, perché l’intera gamma di opportunità offerta dai mercati emergenti non è limitata agli indici generali. Un indice azionario emergente molto usato, ad esempio, comprende emittenti domiciliati in 26 paesi; dal nostro punto di vista, l’universo emergente abbraccia più di 60 paesi. Un approccio svincolato permette all’investitore multi-asset di ricercare opportunità in uno spazio molto più ampio.

Benché molto sia cambiato nei mercati emergenti negli ultimi dieci anni, con i prossimi dieci che si prospettano altrettanto movimentati, crediamo fermamente che le strategie multi-asset diversificate, flessibili e dinamiche abbiano le migliori possibilità di prosperare nel decennio a venire.

*L’E20 è un gruppo di 20 mercati emergenti selezionati da Fortune in base al loro peso economico e demografico. Nel 2020, l’E20 comprendeva Arabia Saudita, Argentina, Bangladesh, Brasile, Cina, Colombia, Corea del Sud, Egitto, Federazione Russa, Filippine, India, Indonesia, Iran, Malaysia, Messico, Nigeria, Polonia, Sudafrica, Thailandia e Turchia.

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