Perché non ci investi?

Gli investitori azionari devono essere ben convinti delle proprie posizioni di sottopeso

27 agosto 2024
5 min read
Christopher W. Marx| Global Head—Equity Business Development
Teresa Keane| Managing Director—Equities
Robert Milano| Senior Investment Strategist and Global Co-Head—Equity Business Development

I gestori di portafogli azionari devono poter sempre spiegare in maniera convincente perché sono in sottopeso su determinati titoli. Oggi, tuttavia, ciò è più importante che mai. 

I gestori di portafogli azionari adorano parlare dei titoli che hanno in portafoglio. Lo stesso non si può dire però di quelli che non hanno in portafoglio. In mercati caratterizzati da un’alta concentrazione, dove i rendimenti sono trainati da una manciata di titoli a elevatissima capitalizzazione, essere ben convinti delle proprie posizioni di sottopeso è fondamentale.

Le posizioni sottopesate influiscono sempre sul rendimento relativo di un portafoglio rispetto al proprio benchmark, ma per diversi anni i gestori non hanno mai davvero dovuto spiegare perché non investivano in determinate società. In contesti di mercato diversificati le posizioni di sottopeso non influivano più di tanto sulla performance.

Il potenziale effetto negativo dei sottopesi in mercati ad alta concentrazione

Negli ultimi anni, però, la situazione è cambiata. Prima sono arrivate le cosiddette FAANG, poi le Magnifiche Sette. Al 16 agosto queste ultime, ovvero Alphabet, Amazon, Apple, Meta Platforms, Microsoft, NVIDIA e Tesla, rappresentavano insieme il 31,1% dell’indice S&P 500 e il 21,6% dell’indice MSCI World. A partire da fine 2022, inoltre, tali titoli hanno contribuito ai rendimenti del mercato in maniera sproporzionata. Sebbene di recente si siano registrate delle divergenze tra le performance dei vari titoli appartenenti al gruppo, negli ultimi due anni i portafogli di quei gestori attivi la cui ponderazione delle sette mega cap non fosse stata almeno pari a quella del benchmark sarebbero stati intrinsecamente svantaggiati. Ad agosto il contributo atteso al rischio complessivo dei sette titoli nei confronti dell’indice S&P 500 è arrivato al 41,8%, oltre 2,5 volte quello dei primi sette titoli per ponderazione del 2010 (v. grafico).

I titoli con una ponderazione enorme nel benchmark creano grandi rischi
I titoli con una ponderazione enorme nel benchmark creano grandi rischi

L’analisi storica non è garanzia di risultati futuri.
*Per contributo atteso al rischio si intende il contributo atteso a livello di singolo titolo azionario al rischio complessivo dell’indice S&P 500 utilizzando il modello di Barra.
Al 13 agosto 2024
Fonte: FactSet, S&P e AllianceBernstein (AB)

Per gli investitori growth questo rischio è perfino amplificato. I titoli tecnologici ammontano oggi a quasi il 50% dell’indice Russell 1000 Growth; il settore tecnologico e quello dei servizi di comunicazione, presi insieme, ne rappresentano oltre il 60%.

Cosa c’è di diverso questa volta?

La concentrazione di mercato non è un fenomeno nuovo. L’abbiamo già vista in passato in diverse forme. Alla fine della bolla delle dot-com, a marzo del 2000, i titoli tecnologici rappresentavano quasi il 50% dell’indice Russell 1000 Growth e poco meno di un terzo dell’S&P 500. Prima della crisi finanziaria globale del 2008 il settore finanziario corrispondeva a circa il 40% dell’indice MSCI World Value.

Anche tenendo conto di questi episodi, tuttavia, è insolito che un gruppo così piccolo di titoli azionari possieda una ponderazione tanto sproporzionata all’interno dell’indice. Tra settembre 1989 e luglio 2024, ad esempio, le prime 10 azioni per ponderazione dell’S&P 500 hanno costituito in media il 21,2% dell’indice; oggi questo valore è pari al 34,4%. Negli ultimi decenni, dunque, i gestori di portafogli azionari non si sono dovuti preoccupare troppo del possibile effetto sui rendimenti di posizioni sottopesate di grande entità su singoli titoli azionari.

Le cose, però, sono cambiate. Sono ormai lontani i giorni in cui i gestori potevano semplicemente dire: questo titolo non mi piace, quindi non ci investo. Oggi la mancata esposizione a mega cap come Apple or NVIDIA può rappresentare la maggior posizione sul rischio in senso relativo di un portafoglio e, per questo, occorre un livello commisurato di convinzione.

L’importanza della filosofia d’investimento

In che modo, dunque, un gestore di portafoglio attivo può giustificare un tale rischio? A nostro avviso dipende tutto dalla filosofia d’investimento alla base del processo di selezione dei titoli.

I clienti investono in portafogli attivi sulla base della loro filosofia d’investimento. I portafogli growth, ad esempio, si basano a volte sulla convinzione che investendo in società in utile che godono di opportunità di reinvestimento sia possibile sfruttare il potere dei rendimenti composti. Un portafoglio azionario a bassa volatilità potrebbe basarsi su una filosofia che consideri le aziende di qualità uno strumento per contribuire a ridurre il rischio al ribasso ma anche per partecipare in maniera significativa ai rialzi del mercato.

I processi di selezione dei titoli si fondano proprio su queste filosofie. Ad esempio, i portafogli growth mirano a investire in società con caratteristiche di alta qualità come un’elevata redditività delle attività o una crescita degli utili stabile, mentre quelli più orientati al fattore value evitano di acquistare titoli troppo costosi e devono applicare criteri chiari per individuare catalizzatori in grado di innescare una rivalutazione dell’azione in questione.

In un portafoglio disciplinato tutte le posizioni di sovrappeso e sottopeso devono trovare giustificazione nella filosofia d’investimento. La filosofia e la sua esecuzione, analogamente, sono alla base dei pattern di rendimento e rischio che gli investitori possono attendersi dal proprio portafoglio.

Una sottoperformance periodica può essere un prezzo da pagare

A volte una strategia può lasciarsi sfuggire un importante trend di mercato a causa della propria filosofia, facendo potenzialmente vacillare la fiducia dell’investitore nella bontà del portafoglio.

Si pensi al boom delle dot-com. Alla fine degli anni ‘90, quando le valutazioni delle società tecnologiche hanno subito un’impennata, i portafogli azionari value hanno sottoperformato. Se un portafoglio value avesse acquistato gli allora costosi titoli delle dot-com solo per adeguarsi al trend di mercato, con tutta probabilità avrebbe violato le linee guida che aveva promesso agli investitori di seguire. Quando la bolla è scoppiata molti portafogli value hanno sovraperformato, dal momento che il mercato ha ricompensato quelle aziende sottovalutate rimaste escluse dall’euforia nei confronti delle dot-com.

Un esempio più recente è la crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina. Nel 2022 i titoli del settore energetico, comuni nei portafogli value, sono saliti per vari mesi con l’impennata dei prezzi di petrolio e gas, mentre quelli growth hanno arrancato (v. grafico). All’epoca molti investitori growth non si sarebbero mai aspettati di aprire grandi posizioni sul settore energetico, a minor crescita e più ciclico. In altre parole una sottoperformance periodica può essere il prezzo da pagare per attenersi a strategie azionarie con filosofie d’investimento ben definite.

Le difficoltà dei titoli growth in un mercato trainato dal settore energetico
Le difficoltà dei titoli growth in un mercato trainato dal settore energetico

Le performance passate e l’analisi del contesto attuale non sono garanzia di risultati futuri.
Rendimenti totali netti, indicizzati a 100 il 1º gennaio 2022. La ponderazione del settore energetico è quella media nell’arco del 2022. 
Al 31 dicembre 2022
Fonte: Bloomberg, MSCI e AB

Oggi i mercati presentano sfide inedite, perché la concentrazione riguarda un gruppo di società mai in così buone condizioni nella storia. Tra le Magnifiche Sette vi sono ottime aziende, ma alcune potrebbero non essere compatibili con filosofie e processi di investimento azionario attivo, perfino per alcuni gestori growth. Chi gestisce portafogli è chiamato a trovare un delicato equilibrio: attenersi a ciò che rende “attrattivo” un titolo azionario secondo la propria filosofia e, al contempo, rispettare le caratteristiche di rischio del portafoglio nel suo complesso. Per questo, nell’attuale contesto di elevata concentrazione del mercato, è possibile che il maggior rischio per un portafoglio sia non detenere un certo titolo azionario.

Scegliere con convinzione i titoli in cui non investire

Com’è possibile dunque per i gestori azionari far fronte a questo problema?

Innanzitutto quelli che scelgono di non investire in un titolo mega cap o di sottopesarlo devono elaborare una tesi robusta alla base di tale posizione in linea con la filosofia d’investimento. I potenziali utili futuri giustificano le attuali valutazioni? La qualità effettiva dell’azienda corrisponde a quella percepita? I suoi investimenti in IA produrranno rendimenti a lungo termine sufficienti? I dirigenti della società ne amministrano bene i capitali? Rispondere a domande come queste può aiutare a capire se è il caso di inserire il titolo in portafoglio o meno.

In secondo luogo, gli investitori che scelgono di sottopesare un titolo a elevatissima capitalizzazione devono monitorare costantemente i suoi progressi. In alcuni casi possono emergere nuove informazioni tali da rendere opportuno un ripensamento. I gestori di portafoglio devono essere aperti alla possibilità di cambiare rotta e aggiungere un titolo al portafoglio, quando opportuno, anche dopo essersi lasciati sfuggire sostanziosi guadagni.

Terzo, è possibile sfruttare il potenziale di crescita delle mega cap anche in altri modi. Date le loro recenti performance le valutazioni delle Magnifiche Sette sono salite: gli investitori possono trovare opportunità in altre società legate all’IA che beneficiano degli stessi trend ma con valutazioni molto inferiori, ad esempio nel settore del software o nei mercati emergenti.

Non fidarsi ciecamente del proprio gestore

Ma a dover mettere in discussione proattivamente le proprie posizioni sottopesate sono anche i clienti. Come? Chiedendo al proprio gestore di portafoglio di spiegare le motivazioni alla base di sottopesi di grandi dimensioni, mettendo in dubbio le ragioni della maggiore attrattiva dei titoli in portafoglio per comprenderne fondamentali e valutazioni relative e verificando che tutte queste decisioni siano in linea con la filosofia del portafoglio.

Per applicare una filosofia d’investimento attiva occorrono costanza e disciplina, anche quando essa sembra non funzionare come previsto. Comprendendo meglio le motivazioni dietro una filosofia d’investimento tramite una comunicazione trasparente, a nostro avviso, gli investitori possono acquisire fiducia sulla capacità di un portafoglio di godere di un potenziale di rendimento a lungo termine senza assumersi rischi eccessivi tramite posizioni di dimensioni eccessive su un gruppo ristretto di titoli a elevatissima capitalizzazione.

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